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Venerdì, 19 Aprile 2024
La domenica del villaggio

La domenica del villaggio

A cura di Mario Russomanno

Ior, un miracolo nato dalla tenacia di un ragazzo di umili origini chiamato Dino Amadori

E’ l’istituto Oncologico Romagnolo, che sta attraversando una delicata transizione. Questa Domenica vi aiuto a ricordarne le origini.

Esiste un sodalizio nato il 18 Luglio del 1979 di cui la Romagna è orgogliosa. Perché esiste soltanto qui, perché deve la propria origine a una sorta di miracolo e perché  nei suoi quarantadue anni di attività di miracoli ne ha realizzati parecchi. E’ l’istituto Oncologico Romagnolo, che sta attraversando una delicata transizione. Questa Domenica vi aiuto a ricordarne le origini. La storia comincia nel 1937 a Corniolo, frazione di Santa Sofia a qualche chilometro da Campigna, nella foresta che oggi è patrimonio dell’umanità per Unesco ma che allora era aspra montagna. Nasce Dino Amadori: la mamma è maestra, il babbo camionista quando c’è lavoro. In casa c’è da vivere e nulla di più. Il bambino  osserva che parecchi muoiono nel silenzio, colpiti da un male senza nome. Quel male da gran sofferenza e appiccica maledizione sociale alla famiglia. Si chiamerebbe cancro ma nessuno vuol pronunciare quella parola.

Dino dice alla mamma che un giorno curerà quella malattia. Avesse affermato che sarebbe andato su Marte, tra quelle montagne avrebbe avuto lo stesso effetto. Il ragazzino merita di studiare, lo mandano da parenti in Toscana per le medie, da altri a Forlì per il liceo classico. Riconoscenza per chi l’ospita, pensiero rivolto ai genitori e voti d’eccellenza, è quel che capita a Dino per dieci lunghi anni. Si fa ora d’andare a Bologna, lo hanno ammesso a medicina e pure al Collegio Irnerio, convitto per universitari non abbienti ma protagonisti d’eccezionali percorsi di studi: ti ospitano e ti offrono una borsa ma devi prendere trenta e lode sempre. Li vivono ragazzi brillanti, portati a condividere. Amadori mi spiegò che quel confronto fu determinante per aprire la mente alla complessità.

Un mese fa ho intervistato a Salotto blu il filosofo Carlo Monaco, figlio di contadini calabresi, pure lui all’Irnerio in quegli anni prima d’essere uno dei grandi intellettuali bolognesi: ha rievocato in studio identiche suggestioni. Amadori diventa medico, s’adatta a ogni compito ma per la testa ha di curare il cancro. Ma negli anni settanta in Italia non ci sono reparti oncologici, la malattia è appaltata ai reparti di medicina: oggi sembra impossibile ma andava così. Amadori va in America, ammira organizzazione e tecnologia ma non condivide la spietatezza: la ti dicono in faccia che hai il cancro, che non c’è speranza ma se hai soldi puoi giovarti di qualche benefit. Amadori immagina un approccio umano, che coinvolga nella speranza famiglia e società. Ma è già molto se ottiene un paio di posti letto per i suoi malati.

Nel 1979 il destino, o qualcosa di più, ci mette le mani. Per scrivere questo pezzo ho rinfrescato la memoria andando a trovare l’altro protagonista della nascita dell’Istituto, Salvatore Lombardo. Nel 1979 è gran avvocato forlivese, borghese di nascita, repubblicano di sentimenti. Elegante nei modi, conosce tutti, ha da poco fondato il circolo tennis di Carpena. Sua mamma s’ammala, è cancro: a Bologna gli dicono di riportarla a casa, inoperabile, condannata. Lombardo si dispera, pensa al timido, brillante, compagno di studi al classico, Dino. Gli chiede aiuto, Amadori prende in carico la signora, la sostiene, la guarisce. Lombardo è uomo pratico. Chiede a Dino cosa può fare per sdebitarsi. Lombardo (è il padre di Giovanna, avvocato e raffinata cantante di jazz band)  qualche giorno fami ha spiegato: “Dino era prudente, riflessivo, mi invitò ad andarmene in vacanza. Al ritorno mi rifeci vivo, mi spiegò quel che aveva in testa ma non c’erano sodalizi similari, modelli da seguire. Ci mettemmo al lavoro, fin dall’inizio pensammo di coinvolgere l’intera Romagna e di scegliere la forma cooperativa. Assunsi la presidenza per garantire coloro che avrebbero interagito”. Da un miracolo della medicina scaturì un miracolo di socialità grazie al genio ostinato di Amadori e al timbro organizzativo di Lombardo. Nacque pure il miracolo della partecipazione di tanti, in un periodo in cui ancora la parola cancro ispirava gesti scaramantici, non la costruzione di una rete solidale. Che gli americani non avrebbero concepito, cui nessuno pensava in Italia.

Ricerca, prevenzione, solidarietà, iniezioni reciproche di coraggio e speranza tra centinaia e centinaia di persone. Se ce la fai tu ce la faccio anch’io, così decollò lo Ior. Lombardo lasciò quando l’Istituto raggiunse il milione di lire di offerte, traguardo impensabile. Dall’Istituto nacque successivamente, concentrando più robuste e  decisive forze (Comuni, Fondazione Carisp, Regione) l’Irst, luogo di cura e ricerca allocato a Meldola, oggi famoso nel mondo. 

Nel 2020 Amadori ha lasciato improvvisamente orfani di sé entrambi gli Istituti di cui è stato profeta e demiurgo durante un viaggio, spesso andava in Africa ove aveva allestito un ospedale per i poveri. l’Irst è una roccia, enti solidissimi ne garantiscono il futuro. Lo Ior, ora come nel 1979, si affida invece alla voglia di bene della gente, quella che per quarant’anni ha creduto in Amadori, che ha visto figli, madri e nipoti assistiti, che praticando lo Ior ha imparato a spendersi per altri, scoperto una nuova dimensione di se. I quarant’anni lo Ior li festeggiò a Rimini nella primavera del 2019, nel Teatro Galli restaurato. Con il sindaco Gnassi orgoglioso padrone casa, con Amadori e il direttore Miserocchi raggiunti sul palco, tra lo stupore degli invitati, da Laura Pasini, amica dello Ior. La star italiana più conosciuta al mondo per una mezz’ora raccontò di se, di sua nonna, rigorosamente in dialetto, dando libertà alla propria clamorosa simpatia tra montagne d’applausi. Il dialogo tra la ex ragazzina timida di Solarolo e il da lei stimatissimo ex bambino di Corniolo mai del tutto guarito dalla timidezza, fu una delle più efficaci rappresentazioni della nostra terra cui avessi mai assistito.

    
Adesso lo Ior, senza Amadori, deve voltar pagina e non è semplice. Il direttore, Fabrizio Miserocchi, scelto anni fa da Amadori, è un riminese capace e appassionato che ha gestito le relazioni esterne di San Patrignano e fatto esperienze alla Comunità europea. Troppo sveglio per non interrogarsi, alla morte del Prof, sul futuro dello Ior oltre che affettivamente colpito per la perdita. Dopo la generosa disponibilità emergenziale offerta dal cesenate Domenico Scarpellini, antico leader dei consorzi agrari, un mese fa lo Ior ha chiamato alla Presidenza Luca Panzavolta, amministratore delegato di Conad per il nord Italia. Un manager tosto che ha relazioni in Italia e in Europa, anche grazie a lui Conad è diventata la prima azienda italiana di distribuzione. Sa da dove viene il pane: figlio di contadini, racconta agli amici senza imbarazzo che, senza vasca in casa, da ragazzo si lavava nella tinozza. Da adolescente a Cesena, assieme ai sodali Elena Baredi, Paolo Lucchi e Graziano Gozi, voleva cambiare il Pci e la politica. Non credo ci siano riusciti ma loro diranno che è stato bello provarci.

Immagino che allo Ior, nei cui consiglio ci sono diversi imprenditori ben predisposti, si siano detti: il Prof non lo si può resuscitare, mettiamo in pista un uomo che sa come funzionano le cose in campi diversi. Ho sentito Panzavolta,  mi ha detto che considera lo Ior grande onore e grande responsabilità. E’ uno schietto, c’è da credere che farà quel che serve, peraltro Conad e l’associazione di riferimento, Lega Coop, sostengono da sempre l’istituto. Torno ad Amadori. L’ho intervistato diverse volte, in altrettante occasioni gli ho fatto volentieri da apripista nelle presentazioni, sempre affollate, del suo bel libro “Anima e coraggio”, in città e paesi. Prendendo un caffè a San Piero gli chiesi cosa spingesse lui, citato nelle riviste scientifiche di tutto il mondo, a muoversi la sera per incontrare persone. Mi rispose sottovoce: “senza l’aiuto delle persone non avrei nemmeno potuto studiare, la vita è restituire”. L’ultima volta è stato a Fratta, una Domenica di fine Gennaio 2020, l’elegante salone delle terme era stipato di persone venute per incontrarlo. Eravamo stretti come sardine, non immaginavamo che a Codogno stesse maturando quel che è successo. Al suo fianco assistetti ancora una volta allo sposalizio tra il Prof e la sua gente, sempre diversa, sempre affettuosa. Amadori aveva preso per il collo quella misteriosa malattia e, come aveva promesso alla mamma, l’aveva strattonata e talvolta soffocata. Tutti lo sapevano, erano grati e gli volevano bene. Pochi giorni dopo il Prof se ne andò. Adesso sosteniamo tutti lo Ior, i miracoli bisogna anche meritarseli. 

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