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La domenica del villaggio

La domenica del villaggio

A cura di Mario Russomanno

Tra le elezioni provinciali che non scaldano e quelle politiche ben più calde dietro l'angolo

Il ruolo delle province è da tempo ridimensionato. Competenze, disponibilità, possibilità operative sono ridotte. Scelte fatte a suo tempo del governo Monti, complicate dall’esito del referendum chiesto da Renzi

Questa settimana ci occupiamo di politica. L’attualità ci indica il rinnovo delle amministrazioni provinciali di Forlì-Cesena e di Ravenna, previsto per il prossimo 18 dicembre. Per i rinnovi votano esclusivamente gli amministratori pubblici eletti, non i cittadini e, per tanto, far previsioni non è un azzardo. 

A Ravenna non c’è corsa: il Sindaco Michele De Pascale ha annunciato la propria ricandidatura alla presidenza della provincia, i numeri di cui dispone non lasciano scampo al centro destra o a possibili altri competitor. 

Teoricamente più aperta, per quanto segnata, è la sfida a Forlì- Cesena tra Enzo Lattuca, primo cittadino a Cesena, favoritissimo, e Roberto Canali, sindaco a Predappio, la cui candidatura è più una generosa disponibilità di bandiera che autentica volontà di competere. Peraltro, la maggior parte dei sindaci, affratellati da responsabilità e problemi comuni, accentuatisi in pandemia, sono pragmatici e legati da amicizia. Particolarmente da quando i cittadini non votano più per la provincia, lo scontro politico non li riscalda: le nuove povertà o la necessità di presidi sanitari, invece, li preoccupano e non appaiono loro di destra a Sarsina o di sinistra a Meldola. Sono, per loro, questioni da risolvere, non tenzoni ideologiche.

Inoltre, il ruolo delle province è da tempo ridimensionato. Competenze, disponibilità, possibilità operative sono ridotte. Scelte fatte a suo tempo del governo Monti, complicate dall’esito del referendum chiesto da Renzi, mai ridiscusse dai governi successivi, hanno impoverito l’istituzione provinciale. A farne le spese sono i comuni più piccoli. Le quattro città romagnole di soldi e di opportunità ne hanno a sufficienza; le comunità periferiche, invece, particolarmente in collina, si devono arrangiare con pochi quattrini e senza indirizzi e consulenze un tempo assicurati dalle province.

Tuttavia, le elezioni provinciali, i loro retroscena e le possibili conseguenze, meritano qualche riflessione, particolarmente nell’ambito forlivese-cesenate. Il partito democratico, che dà le carte in virtù del numero di eletti di cui dispone, avrebbe potuto candidare alla presidenza Daniele Valbonesi, sindaco votatissimo a Santa Sofia e segretario politico territoriale. Sarebbe stato un segnale positivo dato anche ai piccoli comuni. Non lo ha fatto e la cosa ha creato mugugni tra i dem forlivesi. Valbonesi ha abbozzato ma, a proposito di conseguenze, c’è chi profetizza per lui un futuro diverso. Al più tardi nella primavera 2023, forse prima, si voterà per le politiche e il nome di Valbonesi è tra quelli sussurrati per una candidatura in parlamento. Soldato che scampa, si diceva un tempo, è buono per la prossima volta. Del resto, il Pd a Forlì, Cesena, e Rimini, a causa del bagno di sangue patito alle politiche del 2018, non dispone di un solo parlamentare eletto. E dunque, sottotraccia, lavora alle candidature nella prospettiva di una rivincita che, numeri alla mano, oggi appare possibile, alla luce anche di una alleanza organica con il movimento cinque stelle sperimentata nei mesi scorsi alle comunali di Ravenna e Faenza. Anche se sappiamo che in politica i numeri, e gli amori, cambiano rapidamente.

Lo sa bene il centro destra, che in questa partita delle elezioni provinciali gioca oggi, suo malgrado, un ruolo secondario. Tutt’altra aria spirava in Romagna nel biennio 18/19, con la Lega oltre il trenta per cento dei consensi a trainare una riscossa attesa da decenni e concretizzatasi in vittorie in comuni importanti ed elezione di deputati e consiglieri regionali. Le consultazioni del biennio 20/21 hanno recato brutte notizie alla Lega (sensibilmente ridimensionata e più volte superata alle recenti comunali da Fratelli d’Italia) e, complessivamente, al centro destra. Al cui interno, anche qui sottotraccia, si comincia a ragionare di candidature. Nulla è scontato: c’è il derby Salvini-Meloni e c’è da tener conto di nuove situazioni: tanto per dire, due deputati romagnoli, Simona Vietina e Carlo De Girolamo, eletti nel 2018, sono recentemente confluiti nel gruppo di Coraggio Italia. C’è da tener presente Forza Italia e c’è da capire quale sarà la collocazione di Italia Viva.

Mi sto riferendo alle non lontane elezioni politiche perché molto di ciò che succederà prossimamente ne sarà condizionato, nel Paese e in Romagna. La riforma voluta dai grillini nella loro fase rivoluzionaria, votata a denti stretti dagli altri partiti sotto minaccia della gogna popolare, fa si che quando si andrà alle urne gli eletti in parlamento saranno molti di meno. Chi non si occupa di politica ogni giorno, come è naturale, se ne disinteressa, ma gli addetti, e soprattutto i papabili, ci pensano e come. Fatti e atteggiamenti che potrebbero apparire inspiegabili trovano, a ben vedere, nel prossimo scioglimento delle Camere ragione d’essere.

Ma delle candidature al parlamento, e delle grandi manovre in corso, ci occuperemo quanto prima, torniamo alle province. Ove, con larga probabilità, avremo, dopo il 18 dicembre, due presidenti poco più che trentenni, De Pascale e Lattuca, già molto esperti, politicamente autorevoli e, particolare non irrilevante, tra loro amicissimi. Per fare cosa? Per procedere a una malinconica, conservativa, gestione di enti dalle potenzialità ridotte? Improbabile.

Entrambi, De Pascale e Lattuca si dichiarano contrari alla costituzione della “provinciona”, che pur, in un tempo non lontano, era dichiarata dal mondo dem indispensabile alla messa a punto di progetti comuni per la Romagna. Ne prendiamo atto. Immaginiamo, dunque, che le province cercheranno sostanza e vocazione. Serve dare una mano alle piccole comunità e mettere a terra, come dicono oggi i politici di ogni ordine e grado, i progetti resi possibili dai finanziamenti europei.

Le province potrebbero giocare un ruolo importante nel favorire convergenze. Non solo tra i comuni ma anche tra camere di commercio, fondazioni, campus, banche etc. Il mondo cambia, la pandemia ha scosso prassi e certezze: serve mettersi assieme e scrutare il futuro.  Per esercitare un nuovo ruolo, di cabina di regia, alle province non servirebbero autorizzazioni o interventi legislativi, basterebbero capacità e leadership. È strada che i neoeletti presidenti, e coloro che essi stessi indicheranno come assessori, intenderanno, dopo il 18 dicembre percorrere? 

Buona domenica, alla prossima.

Tra le elezioni provinciali che non scaldano e quelle politiche ben più calde dietro l'angolo

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