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Giovedì, 18 Aprile 2024
Mollo tutto e vado via

Mollo tutto e vado via

A cura di Michelangelo Pasini

La "catastrofe" delle olimpiadi del 2020 sta per abbattersi sul Giappone

Fra meno di due anni Tokyo (e dintorni) ospiterà uno degli eventi sportivi più importanti al mondo. Come si rapporta un paese ancora discretamente "chiuso" come il Giappone con la marea di stranieri che lo invaderanno?

Sul Giappone negli ultimi mesi incombe una nuvola nera, una sorta di sciagura che sta acquistando sempre più potenza ed è quasi pronta a scaricare la sua violenza sul paese e sui suoi abitanti. Questa catastrofe si chiama Tokyo 2020, ovvero le Olimpiadi che fra meno di due anni si terrano nella terra del Sol Levante.

Perché parliamo di un evento funesto quando tutti i paesi fanno carte false per aggiudicarsi l'appuntamento sportivo più seguito al mondo? Il motivo è da ricercarsi nella chiusura, politica, culturale ed economica, che il Giappone ha vissuto tra il 1641 e il 1853: durante gli oltre 200 anni di sakoku il commercio con l'estero era strettamente regolamentato e solo alcune popolazioni potevano praticarlo, attraverso vie d'accesso molto specifiche.

Ma è possibile che tutto questo abbia ancora effetti a quasi due secoli di distanza? Oggi che il paese è una delle superpotenze economiche mondiali, che detta legge in quanto a tecnologia e automobili ed è una delle mete preferite dai turisti di tutto il mondo, l'isolamento vissuto in Epoca Edo può avere ancora strascichi sulla popolazione tanto da influenzare la percezione di un appuntamento come le Olimpiadi?

Può sembrare strano, ma la risposta a questa domanda non può che essere una: sì. Dietro la cortina di educazione e gentilezza che rappresenta i giapponesi nell'immaginario collettivo, in questi tre mesi nel paese abbiamo spesso avuto a che fare con persone discretamente chiuse nei confronti degli stranieri. Alcuni amici che vivono da decine d'anni in Giappone parlano di "razzismo", facendoci notare che che chi non è giapponese qui è chiamato gaijin, che significa letteralmente "persona da fuori"; il più morbido gaikokujin ("persona che viene da un paese straniero) è invece usato molto meno. Non vogliamo spingerci così tanto oltre, anche perché di esperienze negative da queste parti è difficile viverne.

Vogliamo però utilizzare questa leggera diffidenza nei confronti degli stranieri (che è sempre celata e mai esibita) per spiegare quanto le Olimpiadi che stanno per arrivare in Giappone siano motivo di preoccupazione e fermento per il cittadino medio. Intendiamoci: non si notano segni di evidente contrarietà, ma le preoccupazioni che mostrano molte delle persone che abbiamo incontrato sono il segno tangibile che quella chiusura di duecento anni fa da molti è guardata con una certa nostalgia.

Faremo tre esempi su tutti.

Il primo è stato sulle pagine dei quotidiani di mezzo mondo: il fish market di Tokyo, il celeberrimo Tsukiji, il 6 Ottobre di quest'anno, dopo 83 anni, ha cambiato sede. Chi non è stato nella capitale giapponese faticherà a comprendere l'importanza che questo mercato del pesce ha rivestito nell'ultimo secolo, diventando un simbolo della città e attrazione turistica immancabile per chi arrivava nella metropoli. Erano anni che si spingeva per una chiusura, perché sembra che i locali non fossero più idonei a contenere una sempre crescente mole di venditori. Questa è la versione ufficiale: quella ufficiosa racconta invece che laddove sorgeva lo Tsukiji devono essere costruiti condomini e alberghi nel più breve tempo possibile, perché tutto sia pronto prima delle Olimpiadi. Per molti giapponesi il tempio del pesce crudo sarà presto abbattuto per fare spazio a un evento che riempirà la città di chiassosi turisti.

Gran parte dei giapponesi non parlano inglese. I più giovani iniziano oggi ad avere un buon livello, ma uomini e donne di mezza età conoscono poche, pochissime parole. Fino a qualche anno fa anche in una città turistica come Tokyo gran parte delle indicazioni della metropolitana erano scritte esclusivamente in giapponese. Oggi i ristoranti dei quartieri più frequentati dagli stranieri hanno un menù in doppia lingua, ma appena ci si allontana anche solo di poche centinaia di metri l'inglese sparisce completamente. Non è raro, inoltre, che in alcuni ristoranti gli stranieri non vengano serviti. Non si tratta di razzismo, ma spesso è semplicemente paura di non riuscire ad accontentare qualcuno di cui non si parla la lingua e fare quindi brutta figura. Più di un amico locale ci ha detto che il mondo della ristorazione del Sol Levante è adesso alle prese con l'annoso problema di adattarsi alla mole di appassionati di sport  che fra due anni arriveranno da tutto il mondo: tradurre i menù in inglese sarà una rivoluzione epocale, anche per una città cosmopolita come Tokyo.

Nei sento e negli onsen (luoghi che possono essere apparentati ai nostri centri termali) giapponesi non si può entrare se si hanno tatuaggi. Uno dei motivi per cui sono vietati è legato alla yakuza (mafia giapponese), i cui membri sono coperti di tatuaggi da capo a piedi. Molti amici sostengono, non senza alludere a una sorta di snaturalizzazione, che questa regola potrebbe essere cambiata in vista delle Olimpiadi. In occidente è molto più frequente farsi tatuare di quanto non lo sia qui: ecco, tutte queste persone tatuate potrebbero vedersi negato l'ingresso nei sento della Capitale.

Non prendete le nostre parole come esempi di razzismo, ma più come la difesa di tradizioni che vivono da centinaia di anni e a cui la popolazione giapponese è fortemente legata. Il business delle Olimpiadi sembra però essere estraneo a tutto ciò, gli alberghi crescono come funghi e la costruzione di strutture sportive per l'evento del 2020 è un'inesauribile fonte di denaro per tante aziende: in fondo anche questa è Tokyo, una metropoli che vive a cavallo tra passato e presente, tra tradizione e innovazione.

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