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Cronaca

"Al dismarì d' Magalòt", il dialetto testimone dell'essere romagnolo: presentato il libro di Elio Ruffilli

"L'autore si racconta prendendo in considerazione gran parte degli avvenimenti più importanti che gli sono accaduti nel corso della sua vita", scrive Gabriele Zelli nella prefazione del libro

La presentazione del libro "Al dismarì d' Magalòt" di Elio Ruffilli, avvenuta sabato nell'ambito della manifestazione promossa dal Comitato di Quartiere di Villafranca e dall'Associazione "Il Palazzone", ha destato notevole interesse fra le oltre 150 persone presenti. Infatti l'aver raggruppato in un unico volume la produzione poetica in dialetto romagnolo di Ruffilli è un evento degno di essere messo in risalto.

"L'autore si racconta prendendo in considerazione gran parte degli avvenimenti più importanti che gli sono accaduti nel corso della sua vita", scrive Gabriele Zelli nella prefazione del libro, riportando alla luce brandelli di storia di un territorio che vede come epicentro le località di San Martino in Villafranca, Villafranca e che si snoda attraverso la città di Forlì e la Romagna. 

Ruffilli racconta anche quello che ha caratterizzato e caratterizza, sotto molti aspetti, il nostro territorio. È così che i ricordi vanno, solo per citare alcuni argomenti, dalla frequenza dei primi anni di scuola a Ponte Vico all'esperienza con il Gruppo Folkloristico Balli Tipici Romagnoli del maestro Augusto Fabbri, dalle vicende dell'Associazione Macchine Agricole di Ieri (Madi) a Marina, regina della piadina, da Perotto, il venditore ambulante di gelato che negli anni '60 e 70 "batteva" tutte le frazioni di Forlì, al Consorzio Querzoli, dove si progettavano e costruivano capannoni artigianali e industriali d'avanguardia. 

"Viene in questo modo messa in risalto una Romagna dove ogni famiglia aveva un soprannome e la stessa cosa avveniva per i componenti della famiglia, evidenzia Gabriele Zelli, tanto che Ruffilli rivendica il suo, "Magalòt", con orgoglio, fino ad arrivare a evidenziare le trasformazioni sociali intervenute, ineludibili e destinate a cambiare la società per sempre. Lo fa con il tono leggero, disincantato, spesso dissacrante, "dla zirudëla", un componimento poetico in ottonari a rima baciata generalmente in chiave satirica ("Basta arvì un vucabulêri / par savê ch' l'è in utunéri / cun la rima ch' l'è baséda, / sinò l'è...'na grân bujéda", come scrisse Mario Vespignani (1924 - 2015) in un componimento dedicato proprio alla zirudela)". 

"Molta parte dell'anima nostra è dialetto"; così scrisse il filosofo e scrittore Benedetto Croce (1866 - 1952). Quindi scrivere in dialetto, come ha fatto Ruffilli, conclude Zelli, "non significa guardare al passato, ma porre l'accento su un aspetto particolare della cultura della Romagna e del nostro modo di essere che è sempre attuale perché ha una sola e medesima natura e sostanza che fa riferimento alla nostra identità. Certo oggi il dialetto è sempre meno una lingua di comunicazione orale, è diventata in qualche modo una lingua settoriale, individuando, peraltro, come suo campo principale di utilizzo proprio il campo letterario, come la poesia, il sonetto, la "zirudella", cioè lo strumento dedicato per antonomasia all'esplorazione dell'io, e quindi dell'identità". 

Elio "Magalòt" Ruffilli ne ha fornito una prova ulteriore che, sono certo, non sarà solo ad uso familiare, o per agli amici, ma saranno molti altri ad avere "alsir", cioè tempo libero, tempo disponibile, per leggere le sue zirudelle, perché "agl' j è una guduria" (sono un divertimento).

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