"Il fiume è entrato in casa, ora vivo in un camper": a due mesi dall'alluvione la storia di Alice, insegnante precaria
“La mia abitazione rischia di crollare, ho chiesto un alloggio al Comune ma c’è poca informazione”. Attualmente non lavora perché il contratto è scaduto a giugno
Vive in un camper da due mesi, da quella drammatica notte del 16 maggio quando l’alluvione ha travolto e inondato la sua abitazione, insieme alle cose di una vita. Un’abitazione divenuta pericolante e, di fatto, inagibile nella quale non è più sicuro vivere. La storia di Alice Casadei, 46 anni, residente in via Pogdora - in uno dei quartieri più flagellati dalle piogge e dall’esondazione del fiume Montone - è l’ennesimo tassello che va a comporre il dramma di tanti cittadini forlivesi che hanno vissuto e continuano a vivere le conseguenze dell’alluvione.
Oltre alla casa, Alice nel frattempo ha perso anche il lavoro: precaria e con un contratto da assistente dl laboratorio all’Istituto tecnico Aeronautico finito nel mese di giugno. “E’ stata una notte terribile, ero paralizzata dalla paura e ho ancora in testa il rumore dell’acqua che a poco a poco, inesorabile, ha invaso la mia casa. Un’onda marrone che arrivava da ogni parte: dal bagno, dalla doccia, dalle fognature. Dopo che il fiume ha rotto gli argini ci è entrato in casa - racconta -. Quando ci siamo resi conto che non c’era modo di fermarla, io e mio marito Daniele insieme a Nocciolina, la nostra cagnolina, siamo saliti al primo piano e ci siamo rimasti fino al giorno dopo, senza riuscire a chiamare i soccorsi perché i telefoni non funzionavano”. Una casa a due piani nella quale Alice viveva insieme allo zio, di 84 anni, che a sua volta si è trasferito provvisoriamente in un altro camper. “Avevo messo una tovaglia di plastica davanti alla porta e cercato di arginare l’acqua con un cumulo di asciugamani - dice - ma è non è bastato, perché contro l’acqua non hai difese”.
A due mesi dal disastro, si sono aperte crepe nel tetto e nei muri della sua abitazione, impossibile tornare a casa in sicurezza. “Ho contattato diversi ingegneri edili anche del Comune di Reggio Emilia - dice - e tutti mi hanno sconsigliato di rientrare perché l’abitazione è pericolante. In Comune mi hanno detto che dobbiamo essere noi privati a occuparci delle perizie degli immobili per ottenere i contributi, ma manca una informazione precisa e puntuale su come farlo”. Nel frattempo Alice continua a vivere nel camper, ha allestito una piccola cucina in quello che rimane della sua casa e ha fatto richiesta per un alloggio temporaneo.
“Io non accuso nessuno in questa situazione - dice con le voce rotta e dalla quale traspare tutta la dignità di chi non si arrende al dolore - vorrei solo capire cosa fare nel presente e nell’immediato futuro ma purtroppo spesso non si sa a chi chiedere”. Le conseguenze dell’alluvione non hanno lasciato solo crepe nei muri e Alice ha deciso di rivolgersi al supporto psicologico messo a disposizione dalla Asl a seguito degli eventi alluvionali - “un supporto di persone straordinarie”, dice - per affrontare e superare le ferite di quella notte di maggio, perché lei da quella notte non dorme più.
A fare paura, adesso, sono le piogge e l’approssimarsi dell’autunno. “L’angoscia di ritrovarmi ancora invasa dall’acqua è tanta - dice Alice -. So che non salverò la mia casa, perché per metterla in sicurezza dovrei togliere il tetto, ingabbiarla e puntellarla, con un costo di oltre 200 mila euro che non posso certo permettermi. Sto cercando una sistemazione attraverso il Comune perché non posso farmi ospitare per un anno da amici o continuare a vivere in un camper. Sono nata e vissuta in questa città, sono precaria e non ho mai chiesto niente a nessuno ma adesso ho bisogno, almeno per continuare a sperare in un futuro possibile”.