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Lunedì, 2 Ottobre 2023
Cronaca

Alluvione, intorno a Forlì c'erano due laghi più grandi di Ridracoli. Ma non sono bastati: "Ecco perché l'acqua ha invaso la città"

Attorno alla città di Forlì, subito dopo la fine delle fortissime piogge del 16-17 maggio scorso si erano formati due “laghi” a monte della via Emilia con un invaso totale, tra tutti e due, superiore a quello della diga di Ridracoli

Attorno alla città di Forlì, subito dopo la fine delle fortissime piogge del 16-17 maggio scorso si erano formati due “laghi” a monte della via Emilia con un invaso totale, tra tutti e due, superiore a quello della diga di Ridracoli: 20 milioni di metri cubi sul Ronco e 16 milioni sul Montone-Rabbi, quindi 36 milioni di metri cubi d'acqua presenti nelle aree di espansione dedicate e “involontarie” (mentre Ridracoli arriva al massimo a 33 milioni). Eppure questa capacità di immagazzinamento non è bastata, tanto che – per esempio – al Parco Urbano il sormonto è stato superiore di 2,8 metri rispetto alla cima dell'argine. Si sono così create anche casse di espansione “involontarie”, come appunto il Parco Urbano e l'area dell'ex vivaio comunale in via Ponte Rabbi sul Montone e nella zona di via della Croce sul Ronco.

VIDEO - Le richieste dei comitati: "La sicurezza del territorio è la priorità"

E' uno dei dati salienti che emerge dalla relazione tecnica di Fausto Pardolesi, funzionario dell'Agenzia regionale per la sicurezza territoriale (ex Genio Civile), resa alla Commissione d'inchiesta del Consiglio comunale di Forlì, nel corso della seduta di ieri, giovedì, dedicata all'audizione dei comitati di quartiere. Per Fausto Pardolesi “le criticità ci erano note anche da prima dell'alluvione, tramite il piano di bacino, l'acqua è andata esattamente dove le curve di livello la portano, vale a dire nei tratti arginati a monte della via Emilia e a valle in aree come i Romiti perché purtroppo confinate da piani di campagna più alti". A valle della via Emilia, invece, i problemi maggiori sono state “le barriere trasversali alla pianura, come Tangenziale, Cer e Autostrada, che sono argini che ostacolano il deflusso dell'acqua una volta che è uscita dai fiumi” e che in pianura si espanderebbe su estese aree ma con pochi centimetri di altezza.

Continua Pardolesi: “Sono rimasto sorpreso dalla tenuta degli argini, temevo che sarebbero crollati in modo più generalizzato. Più che di sicurezza del territorio, preferirei a parlare di riduzione del rischio, perché qui parliamo di centinaia di milioni di metri cubi d'acqua che è fuoriuscita da alvei che sono larghi 60-70 metri, così costruiti nel 1910-11”.

Cosa si sta facendo ora? “Abbiamo decine e decine di cantieri, stiamo ripristinando i danni, poi ci sarà la messa in sicurezza. Sono sicuri gli argini?  Sono quelli di prima, ma un po' più deboli perché gli argini appena costruiti sono meno solidi di quelli consolidati in terra battuta realizzati decenni se non secoli fa”. E non mancano i problemi burocratici, per esempio, quando all'inizio del secolo venne fatto l'attuale argine venne “espropriata solo la striscia del terrapieno, mentre la parte dentro l'argine è rimasta proprietà privata” e questo rende spesso difficile gli interventi dentro la golena.

La rottura del Montone ai Romiti

Dal punto di vista tecnico, il problema ai Romiti si è generato in via Martiri delle Foibe, dove “per fortuna avevamo rafforzato l'argine nel giardinetto adiacente usando le terre di scavo del vicino cantiere (per la costruzione dei condomini, ndr). Dove invece c'è la paratoia, che è più bassa di dieci metri dalla testa dell'argine, si è creata una voragine che ha eroso l'argine. Qui è crollata la paratoia perché ha ceduto l'argine. Alla paratoia “Fontana 2”, un muro di 5-6 tonnellate è stato sparato a 60 metri di distanza. Le parti murarie hanno bisogno di progettazione, ma le sistemeremo presto”, dice Pardolesi.

La rottura del Montone in via Isonzo

Subito dopo il ponte di Schiavonia, il fiume fa una netta ansa a sinistra. Qui, contro l'argine frontale “l'acqua si alza, l'onda ha sormontato più che dalle altre parti, si è creata una voragine e in quel punto l'argine si è schiantato”. Sulla parte opposta, quindi, a via Martiri delle Foibe. A quel punto il flusso dell'acqua che tende ad andare dritto è dilagato in quella parte di città (San Benedetto, ndr), passando oltre via Gorizia e trovando la Tangenziale a sbarramento, che corre parallela alle curve di livello, qui è cresciuto il livello dell'acqua perché ha trovato una diga,defluendo nelle aperture poi dove poteva”. 

Come fare a non farlo succedere più? "Bisogna lavorare di più sulle casse di espansione, ottimizzandole, ma non ci sono altri spazi, il massimo che possiamo raggiungere sono 16 milioni di metri cubi sul Montone e 20 sul Ronco, è il massimo che possiamo immagazzinare a monte della via Emilia, perché a valle della via Emilia ci sono molte case, tra cui le ex baracche degli scariolanti che poi sono diventate nel tempo case di contadini e poi ville".

Come intervenire in futuro?

In molti hanno obiettato il restringimento del ponte della ferrovia sul Montone, che è molto basso. Qui c'è già un progetto, ma non ancora attuato, “di risezionamento dell'alveo a monte e a valle per migliorare l'efficienza idraulica”. Mentre sulla vegetazione presente negli alvei il parere di Pardolesi dissente da quello della popolazione: “L'acqua era tanta ed è stata rallentata dalla vegetazione, tanto biasimata in collina, che è vero che ha causato il crollo dei ponti in collina, ma è un fattore di forte laminazione della piena in pianura. La vegetazione ha delle controindicazioni, ma ha una capacità di rallentamento del flusso dell'acqua”. Mentre, in pianura, la presenza di vegetazione dell'alvei “porta via un po' di spazio, ma non incide significativamente quando l'acqua passa a 1.300 mc al secondo”

Invece, per Pardolesi, bisogna “ottimizzare” le casse di espansione a monte della via Emilia, consapevoli che non c'è tanto spazio. Ce n'è di più per il Ronco: “Sul Ronco l'espansione è di 20 milioni di metri cubi,  tra aeree preposte e casse di espansione involontarie come via della Croce, vale a dire due terzi della diga di Ridracoli. Questi spazi hanno laminato la piena e non è bastato di poco, perché dal Ronco ne è uscita poca di acqua nelle campagne, parliamo di pochi centimetri”.  Più problematico il Montone, dove, continua il tecnico dell'ex Genio Civile – c'è spazio per 16 milioni di metri cubi tra Rabbi e Montone, e abbiamo già tolto molti restringimenti intorno all'ospedale”.

Cosa fare, infine? Per Pardolesi è necessario “delocalizzare” case e attività che si trovano nelle aree golenali, in quanto di fatto indifendibili dalle piene, anche valutando il rapporto costi-benefici dell'intervento. Un'area che, a detta di Pardolesi, è sostanzialmente indifendibile sono le case di via della Grotta, un nugolo di case a ridosso dell'aeroporto, attraversate dal Rio della Grotta, che sono state alluvionate almeno 5-6 volte negli ultimi decenni. Stesso discorso per via della Croce e la parte bassa di via Ponte Rabbi.

Il focus

La mappa di come l'acqua ha invaso la città nella ricostruzione dei coordinatori di quartiere

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