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Cronaca

Blitz al ristorante davanti a un centinaio di clienti, il ristoratore ne esce assolto

"Sono stato trattato come un criminale", disse a caldo Barchi, che non si lamentò tanto per il controllo in sé, ma per le sue modalità, avvenuto a locale pieno

Assolto in tribunale. E' l'esito, in primo grado, del processo a carico di Iader (Andrea) Barchi, titolare del ristorante Insonnia di via Giovanni dalle Bande Nere a Forlì, di fronte alla Rocca di Ravaldino, uno dei ristoranti più noti e blasonati della città. La vicenda di Barchi fece il giro dell'Italia per il suo sfogo di imprenditore "tartassato". Nel novembre del 2016, infatti, l'Insonnia fu oggetto di un blitz dell'Ispettorato del Lavoro, un venerdì sera, davanti a un centinaio di clienti. "Sono stato trattato come un criminale", disse a caldo Barchi, che non si lamentò tanto per il controllo in sé, ma per le sue modalità, avvenuto a locale pieno, nel culmine del lavoro, col personale bloccato in cucina per le testimonianze, tanto che di fatto si bloccò la consegna delle pietanze in sala e molti clienti se ne andarono senza aver avuto la possibilità di mangiare o a metà pasto.

“Dopo 15 anni ho deciso fermamente di chiudere e vendere, non rimarrò in un Paese dove chi lavora onestamente e duramente viene trattato come un criminale”: disse all'epoca Andrea Barchi. Spiegò quindi di avere contatti in Brasile, e di volersi trasferire lì dove la burocrazia è più snella e meno penalizzante di chi rischia come imprenditore. Qualche tempo dopo questo sfogo Barchi si vide alcuni acquirenti potenziali del locale, in gran parte stranieri e cinesi, ma alla fine scelse di non vendere ed anzi nel marzo del 2017 fece sapere di voler continuare nella sua attività e di aver fatto nuovi investimenti per le migliorie del locale, anche sulla scorta di numerosi attestati di solidarietà che sostenne di aver ricevuto.

Dopo il controllo Barchi fu denunciato. In particolare, nel mirino del controllo ci finì un ucraino che fu trovato in cucina. Un lavoratore in nero messo lì a lavare i piatti, ipotizzarono gli ispettori. No, solo il fratello di una delle addette presenti in sala, assunta regolarmente, che aveva mangiato un dolce offerto dalla famigliare e stava lavando il piatto in cui aveva mangiato. Con la documentazione prodotta dalla difesa, Barchi è stato assolto dal giudice Dora Zambelli. Il pm in aula aveva chiesto invece un anno per un reato connesso all'impiego in attività lavorative di manodopera clandestina.

Non mancò tensione nel frangente del controllo, secondo quanto riportò il titolare. In quel momento il locale era gremito da un centinaio di persone. “Ho chiesto di fare tutte le verifiche necessarie e ai dipendenti di essere collaborativi, ma di poter continuare a lavorare nel frattempo. Invece tutti sono stati bloccati in cucina, non riuscivamo a portare più un piatto in tavola. Molti clienti ci hanno espresso solidarietà, altri sono semplicemente andati via”, descrisse la scena Barchi. Il caso fu anche un occasione di riflessione per le associazioni di categoria: Stefano Bernacci di Confartigianato, per esempio, pur difendendo l'assoluta necessità dei controlli, garanzia contro l'abusivismo e la concorrenza sleale, spiegava che esisteva un diffuso risentimento tra gli imprenditori per le modalità impiegate nei controlli.

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