25 agosto 1944: Forlì rivive il sanguinoso mucchio di dantesca memoria
La tragedia più grave si ebbe sul sagrato di San Mercuriale e di fronte al campanile
Nel dubbio, mai sopito dagli storici, che quel 25 agosto 1944 si sia trattato di un tragico errore, ricorrono i 79 anni del bombardamento alleato del centro storico di Forlì. Ad appena tre mesi dall’altro venerdì di terrore (19 maggio), che aveva lasciato sul terreno 150 morti e 250 feriti, Forlì rivive il sanguinoso mucchio di dantesca memoria. “Solo nel 1944 - scrive Antonio Mambelli in “Diario degli avvenimenti in Forlì e Romagna dal 1939 al 1945” - Forlì, ha subito 1.022 allarmi aerei, 79 bombardamenti, 87 spezzonamenti e 57 azioni di mitragliamento. Abbiamo avuto 470 morti in battaglia o in prigionia, 271 civili deceduti e 676 feriti, 230 partigiani uccisi. Scuole, chiese, fabbriche, palazzi e case (oltre 40.000 vani sinistrati) gravemente danneggiati. È stata una lunga notte, ma quel venerdì...”.
Le prime fortezze alleate, pilotate da aviatori sudafricani, apparvero all’orizzonte alle 9.16, sganciando a riprese consecutive il loro carico di distruzione sul centro della città. Provenivano da sud nell’ambito dell’Operazione “Olive”, dal nome del generale statunitense Oliver Leese, che l’aveva congegnata per prendere Rimini e sfondare la Linea Gotica, il sistema fortificato posto lungo l'Appennino dalla Wermacht. “Prima ad essere colpita è la zona di corso Mazzini; il secondo lancio ha come bersaglio lo stabilimento Bonavita nei pressi dell'Episcopio; varie bombe cadono su via delle Torri”. “Oltre cento le vittime civili – si legge nell’epigrafe posta nel 2021 in Piazza Saffi, a fianco del Palazzo delle Poste - tantissimi i feriti”. Nel pomeriggio, verso le 16,30, in piazza scoppia una bomba rimasta inesplosa, determinando il crollo del monumento ad Aurelio Saffi. Dopo il doveroso e triste pensiero alle vittime, Antonio Mambelli, nel suo Diario descrive le rovine e le perdite delle opere d'arte. “Case crollate in via Cobelli, il palazzo Vescovile, la tipografia di Angelo Raffaelli, il palazzo Amministrazione Provinciale con la rovina dei saloni, gli affreschi istoriati di Pompeo Randi, il teatro Apollo, le case Manoni e Fuzzi, la residenza municipale con la Sala degli Angeli, il Palazzo degli Uffici Statali, la nuova sede provinciale delle Poste e Telegrafi, Palazzo Paulucci de Calboli, il Duomo, il Suffragio, la Pinacoteca e San Mercuriale”. Mambelli esprime sdegno per “la balorda disposizione attribuita al capo ufficio catastale, di non permettere ai dipendenti di abbandonare il lavoro che non all’ultimo momento e l’eccessiva confidenza in materia di allarmi”.
La tragedia più grave si ebbe sul sagrato di San Mercuriale e di fronte al campanile: fatalità volle che molti si fossero rifugiati nell’intercapedine fra la chiesa e la torre campanaria e che una bomba sia caduta proprio lì, facendo scempio. I più anziani ricordano bene la devastazione conseguente all’attacco: il popolare don Pippo, al secolo monsignor Giuseppe Prati, da 5 mesi parroco della millenaria abbazia, trascorse l’intera giornata a raccattare brandelli di carne umana sui muri e sul selciato della piazza, per poi dare loro pietosa sepoltura in una fossa comune allestita al Cimitero monumentale. Biancarosa Ciani, per anni titolare del Bar Roma posto al piano terra dell’immobile di via Bonatti sin dal 1939 (ha chiuso nel 2021), aveva pochi mesi e non ricorda nulla, ma quel giorno perse la sorella di 10 anni. Al primo lancio di bombe, i coniugi Dina Turci e Mario Ciani si precipitarono fuori dal locale. Il gesto, impulsivo e dettato dalla paura, costò caro alla figlia Carla: pochi secondi e una nuova bomba cadde proprio davanti al caffè, annientando la bambina. Biancarosa era in braccio alla madre: lo spostamento d’aria generato dall’ordigno scaraventò entrambe all’interno del locale, ma si salvarono. Dopo la tragedia, la famiglia sfollò a Fiumana. Quando ritornò, alcuni mesi dopo, il bar era stato depredato di tutto.