Faglie distensive e compressive: le differenze tra i terremoti in Appennino e quelli in Pianura Padana spiegati dal geologo
Focus di Paride Antolini, presidente dell’Ordine dei Geologi dell'Emilia Romagna
Il terremoto di magnitudo 4.9 delle 5.10 "non rappresenta sicuramente una novità". A dirlo è Paride Antolini, presidente dell’Ordine dei Geologi dell’Emilia Romagna. "Nel raggio di 50 chilometri dalla zona epicentrale si segnalano dall’anno 1000 ad oggi oltre 200 terremoti con magnitudo superiore a 4 che scendono ad un numero di 48 se consideriamo una magnitudo superiore a 5 - dettaglia -. Dall’Unità d’Italia ad oggi sono 119 i terremoti con superiore a 4 e ben 16 con una magnitudo superiore a 5. Nel secolo precedente due grandi terremoti hanno coinvolto la zona, il primo verificatosi il 10 novembre 1918 sconvolse Santa Sofia con magnitudo vicino a 6 e l’anno successivo, il 29 giugno 1919, toccò al Mugello, con magnitudo superiore a 6".
Antolini spiega la genesi dei movimenti tellurici: "Nell’Appennino settentrionale, la migrazione dell’orogenesi (insieme dei processi e dei fenomeni che danno luogo alla formazione di una catena montuosa) procede da ovest verso est, il settore occidentale (tirrenico) dell’Appennino settentrionale è generalmente indicato come interno mentre il settore orientale (padano-adriatico) è indicato come esterno. A seconda che siamo nell’appennino Tosco-Emiliano (settore interno) o nella Pianura Padana (settore esterno), la sismicità mostra caratteristiche piuttosto differenti in termini di cinematica e profondità ipocentrale dei terremoti. Abbiamo una prevalente sismicità superficiale, profondità dei terremoti inferiori a 15-20 chilometri con meccanismi focali prevalentemente estensionali nella zona del crinale appenninico e nel versante Toscano. Nella zona esterna, nell’Appennino sepolto dai sedimenti della pianura Padana, abbiamo eventi più profondi (oltre i 20 chilometri) con meccanismi prevalentemente compressivi. Generalmente questi terremoti sono correlati al grande motore generato dalla subduzione della litosfera continentale adriatica sotto l’Appennino settentrionale".
Il terremoto del 18 settembre e le successive scosse interessano una zona dell’appennino Tosco-Emiliano caratterizzata da terremoti frequenti anche di elevata intensità. "Sono presenti evidenze di movimenti estensionali lungo piani con direzione nord-ovest sud-est immergenti verso nord-est e con profondità ipocentrali comprese tra 5 e 15 chilometri, generati da faglie di tipo distensive (normali) - chiarisce Antolini -. Presenti anche movimenti di carattere compressivi e trascorrenti, lungo piani immergenti a sud e con profondità ipocentrale per lo più comprese fra 15 e 20 chilometri, in questo caso generati da faglie di tipo compressive (inverse). La magnitudo storica massima osservata è di circa 6; valori di tutto rispetto capaci di produrre ingenti danni sul territorio".