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Cronaca

Senza lavoro e con fallimenti alle spalle, anche a Forlì si dorme per strada: le loro storie

Questo inverno non è stato dei più freddi, ma per tutte le persone che non hanno una casa e sono costrette a dormire per la città rimane comunque un inverno rigido, ostile e duro

Questo inverno non è stato dei più freddi, ma per tutte le persone che non hanno una casa e sono costrette a dormire per la città rimane comunque un inverno rigido, ostile e duro. I  pendolari che scendono dal treno e aprono gli ombrelli, camminano veloci per tornare a casa forse non sanno che proprio lì, accanto al convoglio da dove sono scesi, c’è il rifugio di uno dei tanti senza tetto. Passare la notte raggomitolati tra giornali e tutto ciò che ti può isolare dal freddo è dura. Forse riscalda il pensiero di una vita che sembra ormai lontana, in cui c’era una casa, un lavoro, una famiglia. No, l'inverno è più forte.

Storie del genere non sono poi così rare, sono sotto gli occhi di molti. Non li vediamo ma il fenomeno dei senza fissa dimora a Forlì esiste. C’è chi pensa siano scelte di vita, c’è chi invece sa e pensa che purtroppo sono scelte costrette dalla vita. Tanto tempo su cartoni e giornali non aiuta certo a credere in un futuro migliore. Accendere un fuoco, di nascosto, per trovare calore non aiuta a credere di potercela sempre fare. Perdere tutto e continuare a stringere i denti, forse dovremo dire battere i denti, è uno sforzo immenso. Sono stranieri, sono italiani. Persone senza fissa dimora perché hanno perso il lavoro, per una dipendenza, per un divorzio, per la perdita del lavoro o perché scappati poveri dal loro paese e poveri sono rimasti in questo.

La redazione di Forlìtoday ha incontrato la “Capanna di Betlemme”, una struttura dell’ associazione Papa Giovanni XXIII che accoglie e offre servizi ai senza fissi dimora. In mezzo alla campagna di Borgo Sisa c’è una casa, che il Comune di Forlì ha dato in comodato d’uso all’associazione, che ospita 10 persone in modo residenziale e ulteriori 14 posti letti per le persone che invece vengono accolte di sera in sera dalla strada. Tra gli ospiti c'è Paolo, che ha circa sessant’anni, non ha più un lavoro, un matrimonio finito alle spalle, e non arrivando a pagare un affitto e non potendosi permettere neanche di fare la spesa si è visto costretto a vivere in strada. C’è anche chi come Giovanni si è trovato dopo la morte dei genitori a vivere in macchina perché impossibilitato a pagare la casa e senza che nessuno si occupasse di lui e dei suoi problemi psichici. Abed invece dopo trenta anni passati a lavorare in regola nel nostro Paese, arrivata la crisi, l’azienda è fallita e a 65 anni si ritrova a vivere in strada. Storie come queste purtroppo sono tante, troppe.

“Siamo partiti nel 2012 con l’unità di strada. La sera offrivamo servizi ai senza fissa dimora che consistevano nell’offrirgli qualcosa di caldo da bere per scaldarli - a parlare è Jonatha Ricci, responsabile della struttura - era anche un progetto che ci permetteva di monitorare il fenomeno dei senza fissa dimora nella nostra città. Nel 2013 abbiamo aperto la struttura mettendo a disposizione un dormitorio con 14 posti letto per le persone che alla sera accogliamo direttamente dalla strada e 10 posti per quelle che diventano residenziali, ossia tutte le persone che vengono collocate qui dai Servizi Sociali”. La vita nella casa è scandita da ritmi precisi, la mattina il pulmino riporta le persone che hanno passato la sera nel dormitorio al centro diurno del Buon Pastore in centro, mentre chi vive nella casa oltre alle mansioni quotidiane di pulizia della struttura, lavora nei laboratori proposti dall’associazione.

“Sono lavori manuali, come la costruzione di dissuasori per i piccioni – spiega Salvatore Sampino, operatore della Papa Giovanni XXII I- si tratta di progetti che possano in qualche modo dargli la possibilità di un reinserimento nel mondo del lavoro, attraverso tirocini ad esempio. Inoltre diamo loro una sorta di contributo che noi chiamiamo "assegno educativo", per il lavoro svolto,  che poi i ragazzi possono spendere per degli extra”. I "ragazzi", non solo anagraficamente, sono tutti insieme in un salone a svolgere le loro mansioni. Persone di diverse etnie e di età diverse.  A vederli è difficile credere che abbiano vissuto in strada, chi per poco chi per mesi. Difficile da credersi perché si è spesso legati all’immaginario della persona di strada sporca, con la barba e via con gli stereotipi invece - come continua Jonatha Ricci - "sono come noi, non dobbiamo restare legati all’immaginario cinematografico per intenderci, sono persone con storie semplici e ahimè che potrebbero toccare davvero a chiunque”.

Solo nel 2017 le persone accolte alla Capanna di Betlemme sono state 117. Tanti i giovani che si interessano al problema e che decidono di dare ore del loro tempo per fare volontariato, chi dando una mano alla Capanna di Betlemme chi invece scendendo in strada alla sera con il pulmino. Tornare a casa, accendere la luce, farsi una doccia e cenare sono cose meravigliose. Dimenticarsi di questa fortuna è un peccato. Fingere che non esistano persone che non conoscono queste fortune è un peccato mortale.

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