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Cronaca

Caso Insonnia, Bernacci: "Imprenditori tartassati, c'è comprensibile risentimento"

La storia del ristorante Insonnia, a Forlì, ha destato scalpore. La scelta del titolare Andrea Barchi di chiudere e vendere il locale e di trasferirsi all'estero perché a suo dire vessato dallo Stato apre un dibattito

La storia del ristorante Insonnia, a Forlì, ha destato scalpore. La scelta del titolare Andrea Barchi di chiudere e vendere uno dei locali più vecchi e frequentati della città e di trasferirsi all’estero perché a suo dire vessato dallo Stato apre un dibattito, non nuovo, sul rapporto non facile tra chi fa impresa e gli apparati dello Stato, che spesso sono “amici dell’impresa” solo nelle parole dei politici.

Venerdì 11 novembre l’Insonnia è stato sottoposto ad un minuzioso controllo sui lavoratori. Barchi, per sua stessa ammissione non era del tutto in regola: oltre ai 10 dipendenti stabili e regolari, c’erano due collaboratori con voucher (in scadenza quel giorno stesso) non attivati in quanto a suo dire l’Inps quel giorno aveva malfunzionamenti nella procedura di attivazione dei voucher. Presente anche una persona in cucina: se lavoratore in nero o una persona giunta quel giorno stesso dall’Ucraina per trovare una parente che lì lavora, come ha sostenuto il titolare, sarà l’accertamento dell’Ispettorato del Lavoro a chiarirlo. In particolare solo l'esito del processo potrà dire una parola definitiva sugli specifici addebiti. Ma a mandare sulle tutte le furie Barchi - con un lungo post su Facebook - sono state le modalità del controllo: in una delle serate di maggior afflusso, il venerdì sera, davanti ad un centinaio di clienti, con una paralisi della cucina dalle 20 a mezzanotte e il relativo mancato incasso. “Mi hanno trattato come un criminale”, sbotta. Il titolare fa poi un lungo elenco di situazioni del passato in cui si è sentito vessato dallo Stato da qui la scelta, poi confermata, di chiudere ed andare in Brasile.

La vicenda ha fatto discutere molti imprenditori, come conferma Stefano Bernacci, segretario di Confartigianato Cesena: “Gli imprenditori rispetto ai loro diritti non si sentono tutelati dallo Stato, vedi i cinque anni di procedura per riscuotere un credito, mentre rispetto ai doveri si sentono tartassati e questo genera un comprensibile risentimento”.

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Bernacci, i controlli però sono necessari…
“Premetto che non entro nel merito di questo specifico caso, ma dico che raccolgo dai miei associati tanti sfoghi simili, uno di loro recentemente ha subito due controlli in pochi giorni da parte dello stesso ente. Legalità e lotta alla concorrenza sleale prima di tutto, bisogna essere chiari. Poi ci domandiamo se questi sono modi efficaci per diminuire l’illegalità. Nessuno mette in discussione che questi enti debbano fare il loro lavoro, ma vorremmo che si badasse ad una legalità sostanziale, mentre spesso è solo formale, con migliaia di euro di multa solo perché manca un cartello”.

Qual è secondo lei il problema?
“C’è ormai un tale apparato di norme e burocrazia che in caso di controllo nessuna impresa è al 100 percento in regola. Vedo che a volte i controlli si accaniscono sulle imprese che comunque cercano di stare nelle regole, per quanto a volte assurde. Queste aziende, che noi definiamo regolari, sono alla luce del sole, mentre ci sono altre imprese palesemente sommerse e queste vengono forse meno individuate e colpite. Quando poi arrivano i controlli, siano dell’Ausl, della Guardia di Finanza, Ispettorato del Lavoro o altro, la sensazione è che si venga nella logica del cercare comunque qualcosa che non va, il pelo nell’uovo, in una logica non di aiuto all’impresa, ma di gabelliere. Ci sono poi dei meccanismi che non aiutano…”

Quali?
“Prima di tutto quello dei budget. Non ho nulla contro gli ispettori, spesso se ci parli ti dicono che hanno dei vincoli e che devono raggiungere degli obiettivi di budget a loro imposti, e così arrivano multe da migliaia di euro ad imprese magari già in difficoltà. E’ il sistema complessivo, da chi fa le leggi in giù a non essere ormai più sostenibile. Gli enti di controllo sembrano più intenti a raggiungere degli obiettivi e di fare delle sanzione per giustificare l’accertamento, più che scovare la vera illegalità”.

La lamentela, nel caso dell’Insonnia, è stata esclusivamente sui modi del controllo, davanti a un centinaio di clienti e bloccando, a detta del titolare, il servizio...
“Non conosco quel ristoratore e se, come sembra, aveva delle situazioni irregolari tra i lavoratori è giusto che venga sanzionato. Una riflessione generale si può fare sui metodi che noi vorremmo più collaborativi e che limitino al più possibile situazioni come queste. Se l’impresa non genera fatturato, poi non avrà le risorse per pagare i dipendenti e i fornitori e le si crea una difficoltà che esula dalla sanzione che, se contestata, andrà pagata. Spesso abbiamo chiesto che, almeno per le aziende sostanzialmente regolari, gli enti di controllo pianificassero con le associazioni di categoria i settori e le irregolarità che intendono approfondire, così da fare prevenzione. E se la situazione che viene accertata non vede grosse irregolarità perché invece della strada sanzionatoria non si passa a quella prescrittiva? Dire ‘Questo non va, mettiti a posto, passo tra una settimana a ricontrollare’”.

Come uscirne?
“Senza gli obiettivi di budget degli enti di controllo saremmo tutti più sereni, ci potrebbe essere reciproca collaborazione. Ma finché ci sono, saranno questi la priorità, e non l’impresa di cui lo Stato si dice amico solo negli slogan dei politici. Chiariamo: gli imprenditori non sono tutti santi, e con questa collaborazione si potrebbe tutelare la legalità senza fare sconti a nessuno”.

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