Il Covid a Forlì spiegato con le statistiche: +28% di mortalità, ma in città non ci sono "morti fantasma"
E' quanto emerge da dati aggiornatissimi dell'anagrafe del Comune di Forlì riferiti al periodo tra il 15 marzo e il 30 aprile 2020, vale a dire un mese e mezzo in cui in città sono stati riscontrati 1,1 morti al giorno
Nella città di Forlì il Coronavirus ha aumentato il tasso di mortalità generale del 28%. E' quanto emerge da dati aggiornatissimi dell'anagrafe del Comune di Forlì riferiti al periodo tra il 15 marzo e il 30 aprile 2020, vale a dire un mese e mezzo in cui in città sono stati riscontrati, secondo le statistiche ufficiali dell'Ausl e della Regione, 54 decessi causati da Covid-19, in media quindi 1,1 morti ogni giorno dovuti al contagio.
Quanti forlivesi ammalati e in quanti muoiono
L'epidemia a Forlì ha portato ad ora al conto di 553 contagiati “ufficiali” in città (cioè con tampone positivo, senza contare quindi gli asintomatici o coloro con lievi sintomi che non sono stati sottoposti a tampone). Rispetto ai positivi Covid i morti a Forlì rappresentano esattamente il 10% dei casi totali. Ciò significa che, dopo aver riscontrato la positività al tampone, c'è una possibilità su dieci di morire secondo la statistica cittadina. A Forlì è stato diagnisticato positivo al tampone del Coronavirus lo 0,4% della popolazione totale, in tutto in un mese e mezzo. Difficile dire quanti possano essere gli asintomatici. Studi internazionali parlano di 5 volte tanto quelli riscontrati positivi al tampone, in un contesto di epidemia che si diffonde priva delle misure di lockdown. Questo significa che circa il 2% della popolazione ha “incontrato” il virus, cioè circa 2.300 forlivesi.
Muoiono più uomini che donne
Il dato della mortalità aggiuntiva a Forlì, pari al 28%, diventa ben diverso se si va a suddividere il dato tra uomini e donne: la mortalità generale tra le donne tra il 15 marzo e il 30 aprile 2020 è aumentata del 14,7%, vale a dire la metà della media generale, mentre quella degli uomini è aumentata dal 45,6%. Non sono disponibili dati per fasce d'età dai dati forniti dal Comune, ma è senso comune che i più colpiti dai decessi sono largamente gli anziani.
Forlì-Cesena tra le province “ad alta diffusione”
Un'analisi nazionale dell'Istat e dell'Iss (Istituto superiore di sanità) ha suddiviso le province italiane per diffusione del virus. Quella di Forlì-Cesena si trova nella 'serie A' di questa classifica, vale a dire nella tabella delle 37 province “ad alta diffusione”, anche se abbastanza in fondo. Forlì-Cesena è infatti al 32° posto per livello di contagio. Probabilmente il nostro territorio è stato salvato dall'impennata più drammatica dei casi grazie al lockdown. Il primo decesso a Forlì per Coronavirus si è verificato il 15 marzo scorso, quando già da una settimana la città si trovava nelle prime fasi del lockdown generale. Il virus a Forlì molto probabilmente ha preso piede alla fine di febbraio e ha avuto “mano libera” nelle prime 3 settimane di marzo, mentre la città ha iniziato a beneficiare in modo sensibile dell'isolamento generale nel periodo di Pasqua.
Il confronto in Romagna
In Romagna appare evidente che il primo e più consistente focolaio è stato quello che ha riguardato un'area che comprende la parte sud della provincia di Rimini, la parte nord di quella di Pesaro-Urbino e la Repubblica di San Marino. Pesaro-Urbino ha visto crescere i decessi del 120%, mentre la provincia di Rimini nell'analisi dell'Istat e dell'Iss ha avuto un incremento del 68,2% del suo tasso di mortalità, solo per quanto riguarda i dati riferiti al marzo scorso, cioè la ventesima provincia più colpita a livello nazionale. Secondo la stessa classifica Forlì-Cesena ha avuto un aumento della mortalità del 24,6%. Meglio sono andate le vicine province di Ravenna (+14% di mortalità) e Ferrara (+3%), entrambe inserite dallo studio di Istat e Iss nella "serie B" delle province “a media diffusione”. Bene anche Bologna, con l'aumento di mortalità attestato al +20%.
A Forlì non ci sono stati “morti fantasma”
Nelle aree della Lombardia maggiormente colpite nella fase precoce del contagio (le province di Bergamo, Cremona, Brescia, Lodi etc), in quel decisivo febbraio-inizio marzo di virus che circolava a ruota libera si arriva a stimare che le statistiche ufficiale, per quanto drammatiche, abbiano censito solo la metà dei morti reali per Coronavirus. Lo indica chiaramente il rapporto Istat-Iss che confronta i dati del sistema di sorveglianza del virus con quelli delle morti registrate nelle anagrafi dei Comuni. In Italia dal 20 febbraio fino al 31 marzo, i decessi passano da 65.592 (media periodo 2015-2019) a 90.946, nel 2020. La differenza dei decessi è di 25.354 unità, di questi il 54% è costituito dai morti diagnosticati Covid-19 (13.710).
Ciò significa che in quelle settimane circa 10mila “decessi fantasma” sono 'sfuggiti' alle statistiche ufficiali, la gran parte di questi in Lombardia. Si tratta di morti che in buona parte non sono stati trattati come malati di Covid, spesso deceduti nelle loro abitazioni con sintomi che sono stati scambiati fino all'ultimo con quelli dell'influenza. Ma tra questi morti ci sono anche i cosiddetti “decessi indiretti”, vale a dire persone non affette da Covid che tuttavia potrebbero non aver ricevuto cure adeguate a causa del sovraffollamento degli ospedali, cure che cioè, a parità di evento, avrebbero avuto normalmente fuori dall'epidemia.
E a Forlì? Questo fenomeno non si riscontrata in termini percentuali apprezzabili, probabilmente perché la città non è stata travolta dall'impennata dei contagi con le “modalità lombarde” e poi è stata “messa in sicurezza” dal lockdown. Facendo infatti il confronto tra i dati dell'anagrafe del Comune e quelli della sorveglianza sul Covid dell'Ausl emerge che in città nel periodo tra il 15 marzo e 30 aprile ci sono stati 52 decessi in più rispetto alla media dello stesso periodo degli ultimi 4 anni, tra il 2016 e il 2019. Nello stesso periodo la Sorveglianza sul Covid ha conteggiato a Forlì 54 decessi, un numero quindi quasi uguale. Si può dire quindi che a Forlì tutti i malati di Covid hanno ricevuto cure mediamente adeguate e sono sfuggiti dalla prima e più grossolasa mancanza, vale a dire la mancata diagnosi.
Il rapporto sulla mortalità reale da Covid in Italia
Il Rapporto nazionale è stato prodotto congiuntamente dall’Istituto nazionale di statistica (Istat) e dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss). L’obiettivo era quello di fornire una lettura integrata dei dati di diffusione dell’epidemia di Covid-19 andando a confrontarli coi dati di mortalità totale acquisiti e validati dall'Istat. Il sistema di sorveglianza raccoglie dati individuali dei soggetti positivi al Covid-19, in particolare le informazioni anagrafiche, i dati su domicilio e residenza, alcune informazioni di laboratorio e altre sul ricovero e stato clinico (indicatore sintetico di gravità della sintomatologia), sulla presenza di alcuni fattori di rischio (patologie croniche di base) e l’esito finale (guarito o deceduto). Per quanto riguarda i decessi, però, si è trovata in molte province del nord una forte diversità tra i decessi registrati all'anagrafe.
In particolare, dal rapporto Istat-Iss la diffusione geografica dell’epidemia di Covid-19 si presenta eterogenea: è stata molto contenuta nelle regioni del Sud e nelle Isole, mediamente più elevata in quelle del centro rispetto al Mezzogiorno e molto elevata nelle regioni del Nord. Nonostante il calo dei contagi dovuto alle misure di “distanziamento sociale” intraprese dai primi giorni di marzo, le curve nazionali dei casi diagnosticati e dei decessi hanno iniziato a decrescere solo negli ultimi giorni di marzo.
Il morbo colpisce in ugual misura donne e uomini. In Italia il 52,7% dei casi (104.861) è di sesso femminile. L’età mediana è di 62 anni (range 0-100), ma la letalità è più elevata in soggetti di sesso maschile in tutte le fasce di età significative. Nel 34,7% dei casi segnalati viene riportata almeno una patologia cronica presente (una tra patologie cardiovascolari, patologie respiratorie, diabete, deficit immunitari, patologie metaboliche, patologie oncologiche, obesità, patologie renali o altre patologie croniche). Considerando il mese di marzo, si osserva a livello medio nazionale una crescita del 49,4% dei decessi per il complesso delle cause. Se si assume come riferimento il periodo che va dal primo decesso Covid-19 riportato al Sistema di Sorveglianza integrata (20 febbraio) fino al 31 marzo, i decessi passano da 65.592 (media periodo 2015-2019) a 90.946, nel 2020. La differenza dei decessi è di 25.354 unità, di questi il 54% è costituito dai morti diagnosticati Covid-19 (13.710).
A causa della forte concentrazione del fenomeno in alcune aree del Paese, i dati riferiti a livello medio nazionale “appiattiscono” la dimensione dell’impatto della epidemia di Covid-19 sulla mortalità totale. Ma andando a scorporare i dati il 91% dell'eccesso di mortalità riscontrato a livello medio nazionale nel mese di marzo 2020 si concentra nelle aree ad alta diffusione dell’epidemia, vale a dire il Nord Italia. Nell’insieme di queste province, i decessi per il complesso delle cause sono più che raddoppiati rispetto alla media 2015-2019 del mese di marzo. Se si considera il periodo dal 20 febbraio al 31 marzo, i decessi sono passati da 26.218 a 49.351 (+ 23.133 ); poco più della metà di questo aumento (52%) è costituita dai morti riportati al Sistema di Sorveglianza Integrata Covid-19 (12.156).