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Coronavirus, l'Emilia Romagna non manda in pensione le Usca

"Tutte le Ausl potranno continuare a beneficiare di questo servizio che in Emilia-Romagna ha erogato più di 500.000 prestazioni domiciliari", aggiunge Donini

Magari cambieranno nome, non la sostanza del servizio che offrono, ovvero seguire a domicilio il decorso dei pazienti Covid. L'Emilia-Romagna, per ora, non manda in pensione le Usca, le unità speciali di continuità assistenziale che negli oltre due anni di pandemia hanno battuto il territorio palmo a palmo per dare assistenza domiciliare agli ammalati di Covid. "Abbiamo intenzione di prorogarle", conferma l'assessore regionale alla Sanità, Raffaele Donini, annunciando la firma di una circolare ad hoc.  "Abbiamo intenzione di prorogare l'attività fino a fine anno. Tutte le Ausl potranno continuare a beneficiare di questo servizio che in Emilia-Romagna ha erogato più di 500.000 prestazioni domiciliari", aggiunge Donini.

La proroga sarà in vigore fino al 31 dicembre. La decisione è maturata anche in considerazione della nuova crescita dei contagi registrata nelle ultime settimane, anche se la situazione dei ricoveri ospedalieri continua a non destare allarme, con numeri sotto controllo. Le Usca, attive sull’intero territorio regionale, hanno operato fin dall’inizio della pandemia in stretta collaborazione con i medici di base e i pediatri di libera scelta e hanno fin qui garantito oltre 520.000 prestazioni sanitarie, tra visite domiciliari (25%), triage telefonici (39%), visite nelle Cra (8%), somministrazioni di terapie (3%) e altre prestazioni.

“L’Emilia-Romagna- sottolinea Donini - è stata tra le prime ad attivare le Unità speciali di continuità assistenziale, équipe di professionisti - ai quali va il nostro ringraziamento - che hanno avuto in questi due anni un ruolo prezioso andando casa per casa per fornire assistenza ai malati. Una modalità di intervento che può essere ancora utile in questa fase in cui il virus rialza la testa e che bene si innesta sull’idea di sanità territoriale che abbiamo in mente per il futuro. Un modello che punta a fare del domicilio il primo luogo di cura e assistenza ai malati”.

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