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Cronaca

Il coronavirus si 'ferma' nei testicoli? Il primario di Urologia di Forlì: "Nessuna prova scientifica"

"E’ ovvio che le considerazioni attuali sono limitate dai dati disponibili in letteratura e che pertanto possono essere soggette a variazioni", spiega Gunelli

Perchè il coronavirus ucciderebbe più uomini che donne? Nei giorni scorsi ha avuto ampio risalto sulla stampa nazionale uno studio condotto negli Usa dal Montefiore Health System e dall’Albert Einstein College of Medicine, in collaborazione con l’ospedale di Malattie Infettive Kasturba a Mumbai in India, secondo il quale la causa sarebbe nei testicoli. Secondo i ricercatori, le ghiandole sessuali maschili costituirebbero una sorta di ​"roccaforte​" in cui il virus si rifugerebbe quando è sotto attacco. Un fortino che non esiste nelle donne.

Per Roberta Gunelli, primario dell'Unità Operativa di Urologia dell'ospedale "Morgagni-Pierantoni" di Forlì e presidente dell'Associazione urologi italiana (Auro), "è impossibile al momento poter esprimere qualsiasi giudizio. E’ ovvio che le considerazioni attuali sono limitate dai dati disponibili in letteratura e che pertanto possono essere soggette a variazioni". Espone Gunelli: "In tempo di Coronavirus, molte delle notizie sono purtroppo spesso frutto di interpretazioni giornalistiche che non cercano di stimolare nel lettore la voglia di verità, ma ricercano lo "scoop"". La dottoressa, attraverso ForliToday, ha voluto "dare un contributo, cercando di interpretare in modo scientificamente corretto la notizia pubblicata su numerosi giornali circa una nuova possibilità di contagio legata alla presenza di Coronavirus a livello genitale nella popolazione maschile".

Spiega il primario di Urologia: "Le notizie pubblicate partono dalla pubblicazione di un lavoro scritto dal microbiologo americano Shastri che ha fatto delle valutazioni circa i tempi di guarigione della malattia nel genere maschile e femminile ipotizzando come la maggiore persistenza del virus nel maschio possa essere imputata alla presenza a livello testicolare di una proteina (ACE2) che è uno dei mezzi di diffusione del virus all’interno del nostro organismo. Questo è ovviamente un fatto incontrovertibile".

Tuttavia, prosegue Gunelli, "vi è più di un punto debole nelle osservazioni fatte: il campione studiato è molto esiguo e con prevalenza di maschi (48 pazienti) rispetto alle femmine (20 pazienti), e se si elimina l’unico paziente maschio ancora positivo a 15 giorni i risultati in termini di clearance diventano praticamente simili fra maschi e femmine". Illustra la dottoressa: "Nella famiglia che presentava tre positività su 3 persone (2 femmine ed un maschio) una delle femmine ha avuto una clearance praticamente uguale al maschio e l’altra femmina una clearance molto più rapida rispetto al fratello ed alla sorella". Inoltre, "si ipotizza la presenza di virus a livello testicolare, ma non è stata provata la presenza del virus nel tessuto testicolare e/o negli spermatozoi".

Spiega Gunelli: "Se si valuta la letteratura espressa nei confronti della Sars (altra malattia dovuta a Coronavirus) sappiamo già che vi sono possibilità di avere orchiti (Xu J), ma nel caso di Covid-19 non sono stati riportati (nonostante l’alta numerosità dei pazienti in tutto il mondo) casi di orchiti, quindi se anche fosse ritrovata nel prossimo futuro presenza di  virus a livello testicolare possiamo ritenere possa essere in concentrazione non clinicamente significativa, soprattutto pensando come il virus sia ritrovato in modo molto più evidente, al di fuori di quello elettivo dell’apparato respiratorio, a livello intestinale, ed avendo in tal senso anche presenza di sintomatologia clinica riconoscibile, in particolare diarrea e nausea. Tale opinione è anche espressa da Gupta che riporta come  a tutt’oggi non vi siano dati sufficienti per dare alla presenza dei recettori ACE2 a livello testicolare una rilevanza clinica".

"Un lavoro pubblicato da Ling Ma - spiega ancora il primario di Urologia - valuta una possibile presenza di alterazioni degli ormoni sessuali maschili in corso di Covid-19. Peraltro lo studio di Ling Ma presenta, come l’autore stesso evidenzia, importanti punti che ne possono limitare il valore: non sono stati studiati i parametri dello spermiogramma né la presenza di virus nel seme; il campione in esame è molto esiguo (11 pz e non omogenei per gravità); e l’asse ormonale ipotalamico-gonadico è influenzato in modo rilevante nel caso di situazioni di stress e/o di terapia con corticosteroidi".

"Può essere interessante invece considerare il fatto che vi siano alcuni lavori che studiano la presenza di virus a livello delle urine, non vi sono però pareri concordi in quanto Wang non ha rilevato presenza del virus, mentre Ling ne ha rilevata una presenza nel 6.9% dei casi (anche dopo negativizzazione del tampone faringeo) - continua -. Questa possibilità porta però di conseguenza a rafforzare la necessità di una attenzione alla manipolazione di materiali biologici, come già nei confronti di materiale con contaminazioni fecali, in particolare durante chirurgia e nella preparazione dei tessuti per lo studio anatomopatologico".

"Altra pubblicazione interessante è quella di Song che nel suo lavoro evidenza come in tutti i pazienti esaminati non si sia rilevata presenza di virus a livello dello sperma sia in fase acuta che in fase di guarigione e che nei pazienti sottoposti ad autopsia dopo morte per Covid-19 non si sia rilevata presenza di virus a livello del tessuto testicolare, nelle conclusioni viene riportato come si molto improbabile che Covid-19 possa essere trasmessa dal maschio attraverso il rapporto sessuale", chiosa.

Conclude Gunelli: "E' impossibile al momento poter esprimere qualsiasi giudizio sulla importanza clinica della presenza di ACE2 a livello testicolare e la clearance meno rapida nei maschi a tutt’oggi non può essere pertanto messa in relazione alla presenza di ACE2 nel tessuto testicolare. Per quanto rilevato negli studi eseguiti, al momento non è prevedibile una possibile via di contagio attraverso il rapporto sessuale da parte del maschio. E’ ovvio che le considerazioni attuali sono limitate dai dati disponibili in letteratura e che pertanto possono essere soggette a variazioni, ma questa è la caratteristica della scienza medica che è sempre in continua evoluzione e che trova nelle certezze dell’oggi la necessità di ipotizzare e cercare altre soluzioni alle malattie che purtroppo sappiamo di conoscere in modo imperfetto".

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