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Giovedì, 18 Aprile 2024
Cronaca

Don Tonino Bello è venerabile: anche Forlì accoglie con gioia la notizia

La notizia che papa Francesco ha autorizzato il decreto che riconosce le virtù eroiche di monsignor Tonino Bello, il vescovo dei poveri, trova una forte eco anche a Forlì

“Era una notizia attesa, che mi colma di gioia ora che è certezza”. Don Tonino Bello diventa venerabile. Papa Francesco ha autorizzato il decreto che riconosce le virtù eroiche del vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, nato il 18 marzo 1935 ad Alessano e morto in odore di santità il 20 aprile 1993 a Molfetta. L’evento travalica i confini della Puglia e trova una forte eco anche a Forlì, dove vive mons. Pietro Fabbri, vicario emerito della Diocesi di Forlì-Bertinoro, nonché amico e discepolo di don Tonino Bello ai tempi del seminario Onarmo di Bologna. Il destino dei due uomini di chiesa si interseca nella seconda metà degli anni Cinquanta: don Tonino, originario di Alessano, nel Salento, giunse nel settembre 1953 nel capoluogo emiliano romagnolo, laddove prese a frequentare i corsi di Teologia presso il Pontificio Seminario regionale “Benedetto XV”. Don Pietro si reca periodicamente alla tomba del vescovo di Molfetta, paladino dei poveri, diseredati e oppressi, sepolto nella sua Alessano accanto alla madre Maria. L’ultima volta del vicario emerito di Forlì in Puglia è stata nel 2017, nell’ambito di un pellegrinaggio allestito dalla Diocesi a 24 anni dalla scomparsa dell’amico sacerdote.

“L’attesa e i motivi per il titolo di venerabile di don Tonino c’erano – continua don Pietro - per cui la promulgazione del decreto sulle sue virtù eroiche mi conferma nella consapevolezza di aver condiviso sprazzi di vita di un uomo di straordinaria levatura spirituale e cristiana”. “Signore – recita mons. Bello, che ha lasciato scritti di enorme intensità - tu mi hai dato il compito di abbracciare anche il mio fratello e di aiutarlo a volare”. Appena divenuto vescovo di Molfetta, nel 1982, don Tonino aprì la sua residenza episcopale a sfrattati ed extracomunitari, instaurando la cosiddetta “convivialità delle differenze”, ossia “il confrontarsi e completarsi con chi è diverso da noi senza mai sfuggire alla logica della pace”. Del grande apostolo della carità pugliese rimane famosa proprio la definizione della “chiesa del grembiule”, una comunità cristiana che sa chinarsi umilmente ai piedi degli uomini, senza tralasciare di analizzare in profondità le cause delle nuove povertà. Nel Natale del 1992, mons. Bello, che nel 1985 era succeduto al vescovo di Ivrea mons. Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea, alla guida di Pax Christi, insieme a circa cinquecento volontari si reca a Sarajaevo, la capitale della Bosnia, assediata dalle milizie serbe.

La loro “folle calata” nell’epicentro europeo dell’odio, riesce ad aprire gli occhi dell’opinione pubblica internazionale sul dramma di una guerra mostruosa combattuta a pochi passi dall’Italia. Don Tonino, divorato dal cancro, sta malissimo (morirà il Lunedì dell’Angelo del 1993), ma non riesce a darsi pace per chi è messo peggio di lui. “Indossare il grembiule – amava ripetere – significa accettare di essere fatti per gli altri. Il servizio implica solidarietà e responsabilità”. Don Tonino sosteneva che la pace non viene quando uno si prende solo il suo pane e va a mangiarselo per conto suo: “La pace è qualche cosa di più: è convivialità, è mangiare il pane insieme con gli altri, senza separarsi, mettersi a tavola tra persone diverse, dove l’altro è un volto da scoprire, da contemplare, da accarezzare”. Don Pietro Fabbri non esclude di poter ritornare presto in pellegrinaggio dall’amico don Tonino, ora avviato con slancio verso la gloria degli altari. 

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