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Cronaca

Dopo 69 anni dalla perdita di San Biagio, cronaca della tragedia dai Diari di Mambelli

A 69 anni di distanza, la perdita della basilica quattrocentesca di San Biagio e degli affreschi melozziani rimane una ferita insanabile. Forlì era in mano alleata da un mese esatto

Dai Diari di Antonio Mambelli emerge la cronaca della tragedia che, alle 17.15 del 10 dicembre 1944, sconvolse per sempre Forlì. A 69 anni di distanza, la perdita della basilica quattrocentesca di San Biagio e degli affreschi melozziani rimane una ferita insanabile.

Forlì era in mano alleata da un mese esatto: “A partire dal 9 novembre – scrive il cronista Antonio Mambelli nei suoi Diari - gli Alleati avevano occupato il Cittadone, ponendo gli alloggi del personale e degli ufficiali in vari edifici del centro: nei pressi di Corso Diaz, vicino a San Biagio  e nei viali Italia e Vittorio Veneto. I tedeschi della 278° Divisione Fanteria, dopo aver abbandonato Forlì, si erano invece attestati lungo il Lamone a difesa di Faenza”. Dal bollettino di guerra del 10 dicembre 1944: “Alle 17,15 precise, alcuni aerei tedeschi comparsi improvvisamente su Forlì, sganciano quattro bombe ad alto potenziale”. La descrizione di Mambelli è stata integrata nel 2011 dallo studioso Giuseppe Della Valle: “I velivoli erano quattro “Focke-Wulf 190 F8” tedeschi, dotati ognuno di una bomba tipo “Grossladungsbombe SB 1000” munita di spoletta “AZ 55 A” per farla esplodere prima dell'impatto col suolo. Gli aerei sganciano il loro carico da 2.200 kg su San Biagio, in Corso Diaz, su palazzo Mangelli e in via Maldenti. Le ultime due bombe non esplodono”. Uno degli ordigni sbaglia completamente l’obiettivo prefissato, la ghiacciaia Monti, convertita dagli Alleati in ospedale militare, e centra in pieno la quattrocentesca basilica di San Biagio, annientando anche 19 povere vite, fra cui tre bimbi, un’anziana monaca clarissa, suor Giovanna, e un sacerdote salesiano, don Agostino Desirello.

San Biagio prima della distruzione

L’anziano presbitero aveva appena celebrato messa, l’ultima della sua vita. Di nuovo Antonio Mambelli: “Dalle 17.30 alle 2.30, i soldati inglesi, affiancati dai pompieri, scavano fra le macerie per estrarre eventuali superstiti. Si salvano Giorgina Aguzzoni e Antonietta Ghini”. Niente da fare, invece, per la figlioletta della prima, Liliana di 5 anni, ritrovata agonizzante fra le braccia della madre, né per il salesiano, che riaffiora cadavere 5 giorni dopo. Lo spostamento d’aria generato dall’ordigno, esploso ancor prima di toccare terra, cancella ogni traccia di un capolavoro che tutti ci invidiavano: il ciclo pittorico su Iacopo Feo della Cappella San Giacomo, affrescata da Melozzo da Forlì e da Marco Palmezzano per ordine di Caterina Sforza. La “Lady di Ferro” aveva così onorato nel migliore dei modi il suo amante-stalliere, sposato in gran segreto nel 1495 per non perdere potere sulla città e rimasto ucciso sul ponte dei Morattini in una congiura. Quegli affreschi erano stati immortalati su foto dagli Alinari di Firenze nel 1938, in occasione della grande mostra su Melozzo da Forlì, inaugurata dal re d’Italia Vittorio Emanuele III. Alle 19 vittime di San Biagio vanno aggiunti i circa 60 civili annientati in corso Diaz, dove l’ordigno crea un vuoto pazzesco dal cortile di palazzo Prati fino a via Caterina Sforza. Il comando anglo-canadese non comunicò mai quelle perdite. Solo in seguito si saprà di un centinaio di militari morti fra Forlì e un’azione bellica analoga condotta a Cesena, in località Madonna dell'Albero, dove era acquartierato il comando dell'VIII Armata britannica. Un’enormità, che avrebbe potuto anche cambiare le sorti della guerra in Italia, se solo tedeschi e repubblichini ci avessero creduto.

Nella nuova chiesa di San Biagio, liberamente ricostruita nel 1952 con ben pochi riguardi al passato (perché non sono stati riedificati anche il campanile e il porticato?), sono visibili le poche opere d’arte dell’antica basilica scampate al bombardamento: il Trittico di Marco Palmezzano con la Madonna in Trono e Santi, una preziosa acquasantiera in marmo bianco e l’Immacolata Concezione di Guido Reni. Salvo per miracolo anche il sepolcro in marmo di Barbara Manfredi, abilmente restaurato da Ottorino Nonfarmale nel dopoguerra e ricollocato, non senza critiche, nell’abbazia di San Mercuriale. Due anni fa, il professor Daniele Masini e alcuni suoi studenti dell’Istituto d’Arte di Forlì hanno avviato la ricostruzione a grandezza naturale, direttamente nel giardino della chiesa di San Biagio, degli affreschi della Cappella Feo andati distrutti nel bombardamento aereo di 69 anni fa. Il progetto, lodevole e ambizioso, è rimasto incompiuto per mancanza di fondi, anche a causa dei tagli scellerati alla cultura e all’istruzione operati da tutti i governi nazionali succedutisi in questi anni a Roma

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