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Cronaca

Come si combatte il virus un anno dopo: "Tornati ai primi medicinali, ma ora prevediamo i casi che diventeranno gravi"

"Stiamo assistendo ad una ripresa molto intensa dei ricoveri in tutti i reparti dell'ospedale", evidenzia Carmela Grosso, dirigente medico di Malattie Infettive

Covid-19, un anno dopo. Sono tutti occupati da pazienti positivi al virus i 17 posti letto del reparto di Malattie Infettive dell'ospedale "Morgagni-Pierantoni" di Forlì. "Stiamo vivendo quella che può essere considerata la terza ondata oppure, studiando le vecchie pandemie, il corno della seconda - puntualizza la dirigente dell'Unità Operativa, Carmela Grosso -. Certamente stiamo assistendo ad una ripresa molto intensa dei ricoveri in tutti i reparti dell'ospedale".

Dottoressa Grosso, quali sono le caratteristiche dei pazienti?
L'età media è molto più giovane rispetto alle precedenti ondate. Fino a gennaio abbiamo ricoverato molti pazienti anziani, che provenivano dalle strutture residenziali o case di riposo, mentre in questo periodo i casi tra la popolazione avanzata e che trattiamo sono sensibilmente diminuti. Probabilmente stiamo vedendo gli effetti delle vaccinazioni, con la somministrazione del siero a queste fasce d'età.

La fascia d'età dei ricoveri?
Tra i 36 fino ad un massimo di 80 anni, ma non oltre.

E per quanto riguarda la tipologia dell'infezione?
E' un po' sempre la stessa. La malattia si manifesta con le caratteristiche che abbiamo imparato a conoscere nell'ultimo anno, con una gravità sicuramente ancora elevata. I sintomi prevalenti che portano le persone al pronto soccorso sono febbre, tosse ed insufficienza respiratoria. Osserviamo quindi attraverso l'emogasanalisi una bassa saturazione dell'ossigeno nel sangue e un impegno polmonare importante attraverso gli esami radiologici, nella maggior parte dei casi bilateralmente.

E per capirne la gravità?
Abbiamo dei parametri di laboratorio che consentono di calcolare la probabilità di evoluzione in una forma più grave, come ad esempio Ldh (lattico deidrogenasi, ndr), la proteina C reattiva, i linfocidi, la creatinina, la funzionalità del rene, l'età, l'obesità e l'ipertensione. Ciascuno fornisce un punteggio e dalla somma si ottiene lo 'score' di gravità, che indica l'evolutività della malattia.

Il periodo medio di degenza di un paziente giovane?
Tra una settimana e dieci giorni. In caso di ipertensione o obesità i pazienti arrivati in ospedale con un bisogno di ossigeno molto scarso vanno monitorati molto attentamente, perchè la probabilità di evoluzione della malattia è alta. Sono necessarie almeno 72 ore di osservazione, poi la degenza sarà più o meno lungo a seconda dell'evolversi della gravità.

Rispetto alla prima ondata ci sono stati passi in avanti per quanto concerne le cure?
La storia clinica della malattia è molto chiara. In questo anno abbiamo utilizzato varie tipologie di trattamento ed alcune sono state anche abbandonate sulla base delle indicazione dell'Aifa, l'Agenzia Italiana del Farmaco. Abbiamo avuto esperienze con il Canakinumab (anticorpo monoclonale umano anti-interleuchina 1 beta, ndr) e il Ruxolitinib (inibitore selettivo delle Janus Associated Kinases nei soggetti con polmonite severa o molto severa, ndr), poi sospesi perchè i risultati di efficacia non sono stati così evidenti, con la decisione dell'Aifa di ritirare l'autorizzazione all'uso. Sorprendentemente siamo tornati al febbraio dello scorso anno.

In che senso?
Che il cardine della terapia è rappresentato un po' dal cortisone e dall'ossigeno terapia. Come antivirali siamo utilizzando il Remdesivir (sviluppato per il virus Ebola e molto promettente per il trattamento della polmonite da Covid-19, ndr), impiegato in particolar modo ai pazienti contagiati almeno da dieci giorni, e siamo tornati anche al Tocilizumab, indicato come efficace, per le fasi successive in via endovenosa, con una-due dosi. Su quest'ultimo farmaco avevamo partecipato ad uno studio specifico e siamo in attesa di conoscere i dati.

Questi trattamenti valgono anche per le varianti al covid-19?
Sì, certamente.

Sono emersi tra i pazienti di Malattie Infettive pazienti con varianti al covid-19?
Questa terza ondata è probabilmente dovuta proprio alle varianti. Noi non le cerchiamo sistematicamente, perchè non serve per chiarire la gravità della malattia nel paziente, ma l'Ausl Romagna partecipa ad uno studio dell'Istituto Superiore della Sanità, condotto sui primi 200 campioni che arrivano nel laboratorio. Da questi dati è emerso che fino al 18 febbraio la variante inglese è arrivata al 50%. Non si tratta quindi di una metodica di routine, ma richiede tempi lunghi di valutazione. Possiamo dire che hanno una trasmissibilità sicuramente maggiore rispetto al ceppo originario del virus.

Nel reparto di Malattie Infettive quale è stata l'adesione alla campagna vaccinale da parte del personale?
Ci fa piacere evidenziare che la percentuale del personale sanitario che si occupa dei pazienti covid, vale a dire medici, infermieri, operatori sanitari ed addetti all'assistenza, è notevolmente cresciuta ed è un aspetto di fondamentale importanza sia per la gestione dei degenti che per la tranquillità sul posto di lavoro. Come Ausl Romagna è in corso uno studio molto importante, nel quale vengono valutati tutti coloro che sono stati vaccinati per verificare in quanto tempo si formano gli anticorpi e la durata dell'immunizzazione. Di recente non abbiamo osservato nessun caso di contagio.

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