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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

67 anni fa la bomba che distrusse San Biagio

Il 10 dicembre 1944, Forlì è sotto il controllo alleato da un mese, ma la guerra continua. Un aereo tedesco sgancia una bomba ad alto potenziale, mai lanciata prima su un centro abitato

Il 10 dicembre 1944, Forlì è sotto il controllo alleato da un mese, ma la guerra continua. Un aereo tedesco sgancia una bomba ad alto potenziale, mai lanciata prima su un centro abitato, che esplode a mezz’altezza annientando la basilica di San Biagio in San Girolamo e 19 povere vite, fra cui tre bimbi, un’anziana clarissa, suor Giovanna, e un sacerdote salesiano, don Agostino Desirello, che aveva appena detto messa, l’ultima della sua vita.

I soldati inglesi, affiancati dai pompieri, scavano fra le macerie per estrarre eventuali superstiti. Si salvano Giorgina Aguzzoni e Antonietta Ghini. Niente da fare, invece, per la figlioletta della prima, Liliana di 5 anni, ritrovata agonizzante fra le braccia della madre, né per il salesiano, il cui cadavere riaffiora solo 5 giorni dopo. Sparisce per sempre anche il ciclo pittorico congiunto del Melozzo e del Palmezzano, che decorava la Cappella Feo. Alla distruzione della chiesa si salva giusto un pugno di opere d’arte: il Trittico di Marco Palmezzano con la Madonna in Trono e Santi, l’Immacolata Concezione di Guido Reni, una preziosa acquasantiera in marmo bianco e il sepolcro funebre di Barbara Manfredi, oggi custodito in San Mercuriale.

67 anni fa la distruzione di San Biagio

A 67 anni esatti dal tragico evento, Giuseppe Della Valle, ingegnere 83enne rientrato a Forlì da Milano dove ha trascorso l’intera vita lavorativa, si è preso la briga di mettere in ordine cronache, carte, carteggi e immagini, fino a svelare che, dietro la tragica perdita del monumento quattrocentesco e del ciclo affrescato del Melozzo, colpiti per errore, c’era comunque un’efferata e lucida strategia militare, “che avrebbe potuto anche cambiare le sorti della guerra, se ci avessero creduto”.

Dal bollettino di guerra del 10 dicembre 1944, riportato da Antonio Mambelli nei suoi Diari: “Alle 17,15 precise, alcuni aerei tedeschi comparsi improvvisamente su Forlì, sganciano quattro bombe ad alto potenziale”. Uno degli ordigni centra in pieno la basilica di San Biagio, cancellandola. I tedeschi della 278° Divisione Fanteria avevano sì lasciato Forlì, ma si erano attestati lungo il Lamone, a difesa di Faenza. “A partire dal 9 novembre – scrive Della Valle - gli Alleati avevano occupato il Cittadone, ponendo gli alloggi del personale e degli ufficiali in vari edifici del centro: nei pressi di Corso Diaz (palazzi Mangelli e Prati- Merenda), vicino a San Biagio (ghiacciaia Monti, convertita dagli Alleati in deposito mezzi) e nei viali Italia e Vittorio Veneto. Similmente, a Cesena il comando dell'VIII Armata britannica era acquartierato in località Madonna dell'Albero”. Questo parallelo con l’altro capoluogo provinciale è fondamentale.

“Alle 16,55 compaiono quattro “Focke-Wulf 190 F8” tedeschi, dotati ognuno di una bomba tipo “Grossladungsbombe SB 1000” munita di spoletta “AZ 55 A” per farla esplodere prima dell'impatto al suolo. Gli aerei sganciano il loro carico da 2.200 kg su San Biagio, in Corso Diaz, su palazzo Mangelli e in via Maldenti. Le ultime due bombe non esplodono”. A Cesena, alla stessa ora, altri due “Focke-Wulf 190 F8” dotati degli stessi ordigni colpiscono mensa e stazione radio dell'VIII Armata. A Forlì, il campanile di San Biagio crolla sulla chiesa, distruggendola. La bomba in corso Diaz crea il vuoto dal cortile di palazzo Prati fino a via Caterina Sforza: in tutto muoiono 60 civili. Volutamente, il comando anglo-canadese non ha mai comunicato le sue perdite. Solo in seguito si saprà di un centinaio di militari morti fra Forlì e Cesena, un’enormità. La bomba tipo “Grossladungsbombe SB 1000” con sviluppo esplosivo orizzontale anziché “a imbuto” (mancanza del cratere) viene sperimentata per la prima volta proprio a Forlì.

“In quella che era stata la città del Duce - spiega Della Valle - è stata condotta un’operazione militare antesignana nel mondo”. La stessa tecnica riapparve 30 anni dopo in Vietnam, ripresa dagli americani. E anche lì sappiamo com’è finita. “La strategia su San Biagio, se continuata, avrebbe potuto avere conseguenze serie e determinanti sull'esito finale della battaglia per Faenza e per il proseguimento dell'avanzata verso la valle Padana”. Fortunatamente, la storia ha avuto un altro corso.

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