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Cronaca

Bagno di folla per don Ciotti: "Il povero occorre riconoscerlo"

Ma chi sono i poveri? Basta guardare le ultime statistiche del malessere italiano: nove milioni e mezzo di connazionali vivono in condizioni di povertà relativa, con meno di 506 euro al mese

“Non basta ascoltare il povero, occorre riconoscerlo”. Chiesa parrocchiale di Ravaldino gremita venerdì per l'accorata testimonianza di don Luigi Ciotti, il battagliero sacerdote torinese fondatore del “Gruppo Abele” e di “Libera”. Introdotto da don Sergio Sala e interpellato dal giornalista Gianfranco Brunelli, don Ciotti ha scosso le coscienze dei presenti sul tema: “Una chiesa povera per i poveri”. “Vorrei partire da me, sacerdote della chiesa di Cristo e cittadino italiano, un povero prete che cerca di vivere il Vangelo saldandolo alla Costituzione”.

Le premesse del suo impegno sono nell'intuizione del vescovo torinese padre Michele Pellegrino, che lo ordina presbitero nel 1972 e gli affida come parrocchia la strada. Ma è una presa d'atto del fatto che già nel 1966 don Ciotti aveva promosso un ambito d'impegno giovanile, che poi assumerà il nome di “Gruppo Abele”. Gli italiani responsabili, credenti e non, devono abitare il tempo presente assumendosi la responsabilità del cambiamento. Il presidente di “Libera” ammette ironicamente di non aver mai preso lauree, giusto quella in “scienze confuse”. Poi alza il tono di voce, che riverbera impetuoso sotto le volte settecentesche della chiesa forlivese che fu dei Carmelitani Scalzi, e chiama all'impegno i presenti: “Dobbiamo occuparci del bene comune e intraprendere insieme la lotta contro l'ingiustizia sociale”.

Bagno di folla per don Ciotti

Ma chi sono i poveri? Basta guardare le ultime statistiche del malessere italiano: nove milioni e mezzo di connazionali vivono in condizioni di povertà relativa, con meno di 506 euro al mese. A questi si sommano 4 milioni e 814 mila persone che giacciono in povertà assoluta e i sette milioni di italiani di tutte le età in pieno disagio lavorativo. Nel Bel Paese imperversa anche un'inaspettata povertà culturale, con ben 6 milioni di analfabeti e un tasso di abbandono scolastico fra i più alti in Europa. “La lotta alla povertà - ribadisce - parte dalla giustizia sociale e la vera ripresa economica non può prescindere da un profondo rinnovamento etico, da un superamento degli egoismi, dal riconoscimento dei legami sociali”. Don Ciotti cita a più riprese gli ultimi papi, cominciando da Paolo VI e dal suo testamento spirituale, fortemente profetico, per approdare allo straordinario monito di Giovanni Paolo II, che il 9 maggio 1993, nella Valle dei Templi di Agrigento, tuonò contro le mafie al grido di “convertitevi”.

Da quel giorno, “Cosa Nostra” ha cominciato a colpire anche i sacerdoti: don Pino Pugliesi, parroco del quartiere Brancaccio a Palermo, viene  ucciso il 19 settembre di quell'anno. La mafia è la metastasi di pratiche illecite non apertamente condannate, come la corruzione. Papa Francesco incarna l'uomo della speranza, colui che ha appena messo in guardia la gente dal puzzo del denaro frutto della corruzione. Prima ancora della repressione, la mafia va prevenuta. “Il male si vince con il noi, con la cura del bene comune, ma anche con oculati investimenti educativi”. Urge un'inversione di tendenza delle politiche sociali: “Occorre sostenere apertamente la famiglia come luogo di relazioni, di ascolto e di crescita”. Emerge il don Ciotti educatore, attentissimo ai disagi del territorio: tossicodipendenza, carcere minorile, prostituzione e criminalità organizzata.

“Una società civile degna di questo nome - ha spiegato - non si accontenta di aderire alle manifestazioni di protesta, ma deve agire concretamente all'interno della propria città”. E per fortuna, i segnali positivi non mancano. In Meridione, si moltiplicano le cooperative di lavoro giovanile che utilizzano effetti confiscati ai mafiosi: “Libera Terra è il bene che si rianima dal male”. Sollecitato da Brunelli, don Ciotti chiude la sua testimonianza raccontando della straordinaria esperienza della Certosa Gruppo Abele. Per secoli luogo di riflessione, di silenzio, di preghiera, questo antico monastero sulla strada che porta alla Sacra di san Michele, in Val di Susa, è divenuto luogo del “noi”, del bene comune e condiviso.

“Uno spazio - per usare un'espressione tanto cara a don Luigi Ciotti - per far incontrare la terra e il cielo, la ricerca spirituale e l'impegno sociale”. La chiesa interna al monastero ostenta un altare eucaristico molto singolare: è il tavolo da cucina utilizzato dalla prima comunità italiana per malati di Aids, creata da don Ciotti nei primi anni Ottanta. “Noi pranzavamo e cenavamo a quella mensa. In venti anni abbiamo accolto un centinaio di sieropositivi, tutti morti”. Se al fondatore di Libera è venuto spontaneo fare del tavolo l'altare e di quello che era il cassetto per le posate il tabernacolo, il crocifisso è fatalmente rappresentato dai cento giovani annientati dal virus dell'Hiv. Ma prima ancora dall'indifferenza nei confronti degli ultimi, dei tanti nuovi poveri generati dalla società del superfluo.

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