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Cronaca

7mila euro per un falso contratto di lavoro, 22 indagati

Pagavano fino a 7mila euro per arrivare in Italia e lavorare. Ma arrivati nel Bel Paese dovevano fare i conti con una realtà decisamente differente

Pagavano fino a 7mila euro per arrivare in Italia e lavorare. Ma arrivati nel Bel Paese dovevano fare i conti con una realtà decisamente differente. Le ditte dove avrebbero dovuto lavorare o erano inesistenti o avevano cessato l’attività. In alcuni casi il rapporto di lavoro si interrompeva dopo pochi giorni. A volte addirittura senza esser pagati. Vittime un centinaio di extracomunitari, in prevalenza marocchini, che si erano affidati a connazionali intermediari.

Operazione Atlas

Sono stati i Carabinieri del Reparto Operativo del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Forlì-Cesena, diretti dal capitano Giuseppe De Gori, a portare alla luce le anomale assunzioni di lavori di immigrazioni. L’inchiesta, partita da una denuncia sporta nel luglio del 2008 da una cittadina magrebina, ha portato il sostituto procuratore Fabio Di Vizio a chiedere il rinvio a giudizio di 22 indagati, tra cui cinque italiani e 17 stranieri.

INDAGATI - Nei guai sono finiti tre imprenditori agricoli (due cesenati ed uno di Santa Safia), un imprenditore edile di Forlì, una imprenditrice romena, residente a Cesenatico, una collaboratrice di uno studio privato che si occupava delle pratiche per il permesso di soggiorno, nove intermediari magrebini, e sette persone (tra magrebini e spagnoli), che si occupavano di rimpatriare gli stranieri a bordo di autobus, riuscendo così ad aggirare le Frontiere aeroportuali.

INDAGINI - Alla querela della magrebina ne sono seguite altre cinque da parte di connazionali. Le vittime del raggiro accertate sono 19 (14 magrebini, un cittadino albanese, un senegalese e tre di nazionalità non appurata), ma gli inquirenti non escludono che fossero un centinaio. Le verifiche effettuate al Centro per l’Impiego della Provincia di Forlì-Cesena hanno evidenziato anomalie nelle assunzioni, con successivi licenziamenti, in due ditte edili di Forlì ed altrettante aziende agricole di Cesena.

SPERANZA - Le vittime pagavano tra i 6mila e gli 8mila euro per arrivare in Italia e ottenere il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, in seguito alla presentazione di domanda da parte dell’imprenditore. A contattarli era alcuni connazionali già presenti in Italia, che prospettavano loro un’occupazione stabile con possibilità di vitto e alloggio. Questi non erano altro che “intermediari”, che agivano secondo un accordo con gli impresari.

LA BEFFA - Prima di partire gli immigrati versavano un acconto. Il resto veniva consegnato al momento dell’arrivo dell’Italia dei documenti necessari per il rilascio del visto d’ingresso. I malcapitati, dopo la sottoscrizione in Prefettura del permesso di soggiorno, di fatto non svolgevano alcuna attività lavorativa nonostante un contratto di 9 mesi. Anzi, è emerso in maniera palese il periodo ravvicinato tra la data di assunzione e quella di cessazione del rapporto di lavoro.

CLANDESTINITA’ - A questo punto gli stranieri erano costretti a pagare un’ulteriore somma di denaro, tra i 3mila ed i 4mila euro, ai “datori di lavori” per ottenere un altro contratto che giustificasse la loro presenza in Italia. Tra il primo e il secondo contratto rimanevano in Italia in stato di clandestinità. Quindi rientravano nel paese d’origine attraverso un’organizzazione di trasporti, gestita da un imprenditore magrebino, poiché c’era l’esigenza di rientrare in Italia con un nuovo visto d’ingresso.

IL RITORNO - I viaggi avvenivano lungo la tratta tirrenica, da Napoli fino a Ventimiglia, e quella adriatica, dalle Marche passando per l’Emilia, la Liguria, la Francia e la Spagna per poi arrivare in Marocco. Nel corso dell’inchiesta i Carabinieri hanno effettuato numerose intercettazioni telefoniche e ambientali, con riprese fotografiche e controlli per l’identificazione dei clandestini. Corposa la documentazione acquisita nel corso di una serie di perquisizioni.

PREOCCUPAZIONE - Il Colonnello Adriano Vergole, comandante provinciale dell’Arma dei Carabinieri, ha evidenziato l’importante dell’operazione denominata “Atlas”: “La crescita di criminalità è collegata anche ad una situazione di permanenza non regolare degli immigrati. L’operazione ha dimostrato che in alcuni casi le prime vittime sono gli stessi immigrati, costretti a pagare con il miraggio di trovare un futuro in Italia ed invece ritrovarsi con promesse non concretizzate”.

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