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Messina Denaro provò a ucciderlo, l'ex questore di Forlì Germanà: "Convinto che fosse lì, protetto dalla sua rete"

Calogero Germanà non è stupito che i tre covi finora scoperti in cui si nascondeva Matteo Messina Denaro si trovino a una ventina di chilometri dal luogo in cui il boss mafioso aveva tentato di ucciderlo

Calogero Germanà, ex questore di Forlì-Cesena, non è né stupito né meravigliato che i tre covi finora scoperti in cui si nascondeva Matteo Messina Denaro a Campobello di Mazara, si trovino a una ventina di chilometri dal luogo in cui il boss mafioso aveva tentato di ucciderlo, vale a dire il lungomare Fata Morgana di Tonnarella, una zona di Mazara del Vallo. Germanà, all'epoca era dirigente del commissariato di Polizia della stessa località. "Quando uno sta male cosa fa? - si chiede Germanà - vuole tornare a casa, dove può sentirsi sicuro, protetto. Io sono convinto che il rifugio per la latitanza se lo sia organizzato tutto da solo. E che non abbia fatto mai grandi trasferimenti anche negli anni passati. E' sempre stato in zona". 

Nel 1992 Germanà era commissario di Mazara del Vallo e al latitante non andava a genio il suo modo di fare le indagini. Già fidato collaboratore di Paolo Borsellino alla Procura di Marsala, negli anni '80 era la prima linea di contrasto alla mafia trapanese di Messina Denaro, prima al commissariato di Polizia  di Mazara del Vallo, poi alla Squadra Mobile di Trapani poi riportato inspiegabilmente a Mazara del Vallo, dove prestava servizio nel 1992 quando ci furono le stragi di Giovanni Falcone (23 maggio) e di Paolo Borsellino (19 luglio).

Due mesi dopo quest'ultima il tentativo di farlo fuori. Alle 14,15 del14 settembre 1992 era a bordo della sua Fiat Panda  quando si accorse di essere seguito da una Fiat Tipo con a bordo i killer.  Matteo Messina Denaro, Leoluca Bagarella e Giuseppe Graviano si affiancarono all'auto di Germanà e spianarono le armi. Il commissario restò leggermente ferito ma ebbe il coraggio di sparare a sua volta verso gli uomini di Cosa Nostra e poi fuggire in spiaggia, rispondendo al fuoco. Dopo la fuga dei mafiosi Germanà, ferito di striscio, fu soccorso da alcuni bagnanti e residenti e poi trasferito in tutta fretta in una località segreta.

A Forlì è approdato nel 2004 ed è rimasto questore fino al 2011, per poi terminare la sua carriera come questore di Piacenza fino al 2015. Oggi vive in Romagna, mentre lo scorso anno, in occasione del trentennale dell'agguato, a Mazara del Vallo è stata apposta una lapide che ricorda l'episodio di sangue, alla presenza dello stesso Germanà. L'ex questore si è poi dovuto allontanare dalla sua terra, a differenza del suo tentato assassino.

Ma perché i mafiosi volevano ucciderla dottor Germanà? "La risposta non gliela posso dare io. L'unico danno che potevo fare ai mafiosi era che fossi un poliziotto e facessi delle indagini. Sicuramente mi consideravano un disturbo. Le dico anche che dopo l'attentato non mi sono più sentito tranquillo quando tornavo a Mazara del Vallo, paese d'origine di mia moglie. Se hai a che fare con un essere diabolico come Matteo Messina Denaro non sai mai cosa gli possa passare per la testa".

A questo proposito Germanà racconta un aneddoto che spiega molto bene il clima degli anni Novanta in Sicilia. "Poco prima dell'attentato prestavo servizio a Palermo. Un giorno con un collaboratore ci trovavamo a Castelvetrano e decidemmo di fermarci a Mazara del Vallo a mangiare qualcosa. Il titolare del ristorante che conoscevo un po' ma non benissimo, in quell'occasione iniziò a farmi delle grandi feste. Lì per lì lo presi come un ingiustificato eccesso di gentilezza, ma, dopo anni, emerse che in quell'occasione dentro al ristorante c'erano Graviano e Matteo Messina Denaro e, vedendomi entrare, decisero di scappare dal retro della cucina. Ecco che tutte quelle feste che mi fece il ristoratore avevano un senso: stava semplicemente prendendo tempo per permettere ai due mafiosi di andarsene".

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