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Cronaca

Medico in prima linea si ritrova ricoverato nel suo stesso reparto: "Il virus è una batosta non solo per gli anziani"

Per un mese e mezzo è stato in prima linea come medico pneumologo nel reparto Covid, poi la settimana scorsa il virus ha colpito anche lui e si è ritrovato dall'altra parte della barriera, ricoverato nel suo stesso reparto

Per un mese e mezzo è stato in prima linea come medico pneumologo nel reparto Covid di Ravenna, poi la settimana scorsa il virus ha colpito anche lui e nel giro di pochi giorni si è ritrovato dall'altra parte della barriera, ricoverato in un letto del suo stesso reparto, tra i pazienti dai lui stesso curati prima del contagio. “Quando ho visto la febbre crescere e i primi colpi di tosse mi sono detto 'Ecco, stavolta tocca a me'. La mattina ero al lavoro, la sera è salita la febbre fino a 39°, poi il tampone, la Tac che indicava la polmonite bilaterale e due giorni dopo ero ricoverato”, spiega. E da allora, da 5 giorni, si trova nel reparto Covid di Ravenna. E' la vicenda di Filippo Babacci, pneumologo forlivese di 44 anni in forza alla Pneumologia dell'ospedale di Lugo prima dell'emergenza sanitaria, e poi spostato col suo reparto in blocco a Ravenna a curare i malati di Coronavirus.

“Non ho capito come ho potuto contagiarmi. Non ho un momento in cui mi son detto 'Accidenti, qui mi sono sbagliato con le protezioni', anche se è un attimo farlo”, spiega. Infatti, non solo si devono indossare mascherine, tute usa e getta, guanti, occhiali protettivi etc., ma c'è tutto un protocollo su come vestirsi e svestirsi, tanto che – una volta vestiti per il turno di lavoro – anche interrompere per andare qualche minuto al bagno rischia di diventare un problema. “Ed anche a casa ho rispettato ogni scrupolo. Nell'ingresso faccio la pulizia delle scarpe con la candeggina, mi spoglio e infilo direttamente gli abiti nella lava-asciuga, lasciando quindi solo l'ingresso come 'ambiente sporco'. Lavo il giubbotto, disinfetto il telefono appena rientrato in casa e faccio la doccia”, spiega. “Eppure questo è un virus molto contagioso e anche con tutti gli scrupoli del caso mi sono infettato”.

“Sono un po' preoccupato per le riaperture – aggiunge -, anche se mi rendo conto che non possiamo stare chiusi in casa per sempre”. L'importante è tenere sempre alta la guardia: “E' molto contagioso, a parlare coi pazienti la gran parte non capisce come lo può aver preso. E' per questo che sono preoccupato per il dopo. Psicologicamente convivere col virus è diverso dall'isolarsi da esso. Il rischio è di sottovalutarlo, e non bisogna farlo se no il rischio è di tornare indietro. Se gli ospedali tornano a sommergersi come è successo al Nord il mese scorso diventa poi difficile garantire le cure”. L'importante è “stare attenti, avere mille scrupoli, disinfettarsi e mantenere le distanze”.

Spesso chi non è anziano tende a sottovalutare il rischio contagio. Spiega Babacci, che appartiene alla generazione dei quarantenni e quindi fuori dall'età a rischio: “Giustamente si ragiona sugli anziani perché sono a maggior rischio di decesso.... ma non è che gli altri non stiano male. Ora mi sento come se mi avesse travolto un camion, totale spossatezza, fiato corto, polmonite, febbre alta, ne avrò per almeno un mese, di cui diversi giorni di ricovero in ospedale. Insomma, è una bella batosta anche per un giovane. Poi... c'è anche chi se la cava con due starnuti. E' un virus subdolo”. 

Il medico forlivese da un mese e mezzo vive in una casa sfitta che ha come punto d'appoggio a Russi, separato da moglie e dai figli di 4 e 7 anni che vivono a Forlì. “Col lavoro che faccio e tenuto conto che la mia famiglia vive coi miei suoceri, sarebbe stato un rischio molto alto. I miei genitori non li vedo da due mesi. I miei bambini li vedo solo in videochiamata, se la passano perché vivono in una casa col giardino. Ma non è facile neanche per loro: mia moglie lavora in smart working e per le lezioni a distanza e i compiti i bambini delle Elementari vanno seguiti per molto tempo”, spiega Babacci, dando uno spaccato anche sui sacrifici nella sfera privata che la gran parte del personale sanitario sta facendo ormai da lungo tempo. 

Quasi superfluo chiedere se si trova bene tra le cure dei suoi colleghi: “Con loro sono tra amici – commenta -, ma è davvero un'equipe fantastica a vederli dall'altra parte. Dobbiamo anche dire che in questo mese e mezzo abbiamo imparato molte strategie contro questo virus e mi sento ben curato e seguito”. Ora il medico sta meglio, il peggio sembra essere alle spalle. Alla fine di quest'incubo ci sarà almeno la sensazione di 'essersi tolto il dente'? “Una volta guarito sicuramente c'è un'immunità, ma che questa duri 3 mesi, 6 mesi o per tutta la vita la scienza ancora non lo sa. Quindi neanche dire che una volta guarito non tema di non riprenderla una seconda volta a settembre”.

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