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Cronaca

Non basta il virus, c'è anche la burocrazia. Un medico di base: "Direttive contraddittorie, se sbaglia paga il dottore"

Per il contrasto del Coronavirus fuori dall'ospedale “tutti mettono al centro del sistema il medico di famiglia, ma più che 'centri' siamo dei bersagli”: queste le parole di un medico di base forlivese

Per il contrasto del Coronavirus fuori dall'ospedale “tutti mettono al centro del sistema il medico di famiglia, ma più che 'centri' siamo dei bersagli”: è con queste parole che un medico di base forlivese, Vincenzo Immordino, illustra la mala-bucrocazia che, come per ogni cosa in Italia, ruota intorno anche alla gestione delle scartoffie per gestire il Covid-19. “Come medici di medicina generale ci troviamo tra l'incudine e il martello, in ogni caso viene prima il paziente, ma non vorremmo rimetterci né in salute, né economicamente”, spiega Immordino. Il medico di base, il primo 'volto amico' che ci viene in mente se si hanno dei dubbi di natura sanitaria, è una delle prime linee per contenere il contagio. “Riceviamo oltre cento telefonate al giorno dei nostri assistiti, e con tutte le cautele del caso possibile, continuiamo a visitarli, sostenendoli dal punto di vista della salute  e psicologico”, sempre Immordino. E in tutto questo scenario a mettersi di traverso è pure la burocrazia. 

Siete in prima linea, era già emerso che i medici di famiglia non sono stati dotati a sufficienza di dispositivi di protezione come guanti e mascherine. Com'è ora la situazione?
“Continua la carenza e ce li compriamo da soli. Nel mio caso me li hanno regalati alcuni pazienti più affezionati. Dicono che devono fare su noi medici tamponi a tappeto, ma oltre all'annuncio non si è fatto vivo nessuno”

Eppure, in teoria, siete i medici che per primi accolgono i potenziali positivi al Covid. Lei quanti ne ha tra i suoi assistiti?
“Una dozzina, per fortuna nessuno ricoverato. Chiedono al medico di base di intercettare i casi precocemente, dicendo che siamo al centro del sistema, ma più che centro siamo dei bersagli di direttive contraddittorie: prima dovevamo essere noi a segnalare all'Igiene pubblica i contagiati, poi invece dovevamo invitare il malato a contattare l'Igiene pubblica in prima persona, ora invece ci dicono che siamo noi a dover fare sorveglianza, contattando tutti i giorni i pazienti. C'è poi il problema dei soggetti iper-suscettibili....”

Di che si tratta?
“Immuno-depressi e in generale persone ad alto rischio nel caso venissero contagiati dal virus. Questi soggetti vanno esentati dall'attività lavorativa. Dovrebbero essere i medici del lavoro a svolgere quest'incombenza, ma non sono preparati e la rigirano spesso a noi, che a nostra volta dobbiamo fronteggiare il delirio burocratico con l'Inps. Le nostre organizzazioni sindacali ci raccomandano di non farlo e ho più volte tentato di avere risposta ai quesiti burocratici, ma non risponde nessuno. Non sparo a zero sull'Inps, avranno i loro problemi, ma serve chiarezza, se non rischia di farne le spese il lavoratore che resta senza retribuzione o il medico chiamato a rifondere i costi”.

Quindi se un soggetto a rischio non ha questa certificazione perché nessuno se ne assume la responsabilità, cosa fa? Va a lavorare anche se è rischioso per la sua salute?
“Sì, oppure sta a casa in qualche modo, magari senza retribuzione. Io ho fatto 6 certificati di questo tipo, limitandomi alla data più stringente indicata per l'emergenza, vale a dire il 13 aprile, ma il 14 aprile non potrò rinnovarle”.

Altri esempi di burocrazia sclerotica?
“Con l'Inail. Per gli operatori sanitari affetti da Covid è una procedura di infortunio. Ma ci chiedono di rilasciare in modo inappropriato certificati a familiari in quarantena. Anche qui, se si sbaglia o paga il lavoratore o paga il medico”.

C'è qualcosa che funziona?
“Sì, le Usca, le unità speciali di continuità assistenziale, per seguire i positivi al loro domicilio. Sono formate da medici giovani ed efficienti. Anche la farmacia dell'ospedale per la distribuzione del Plaquenil ai pazienti è efficiente e tempestiva”.

Molti lavoratori che si trovano loro malgrado nelle filiere produttive che restano aperte, e magari angosciati perché sanno che sul loro posto di lavoro non vengono applicate fino in fondo le procedure di prevenzione, o per incuria o perché oggettivamente difficile da applicare, per esempio nelle distanze minime, si vedono negare dai medici di base i certificati per stare assenti dal lavoro.
“I nostri certificati devono contenere una diagnosi di malattia. Non spetta a noi scaricare sull'Inps il costo del lavoratore impaurito o del datore di lavoro irresponsabile. Non bisogna dimenticare che dietro i certificati del medico di famiglia c'è sempre una responsabilità civile e penale”.

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