Ucciso e decapitato, parte il processo in Corte d'Assise per il fratello Daniele. Primo colpo di scena: giudice ricusato
E' partito oggi, giovedì, in Corte d'Assise il processo a carico di Daniele Severi, unico accusato dell'uccisione del fratello Franco, 53 anni, ritrovato decapitato, nel suo podere di Seggio di Civitella
E' partito oggi, giovedì, in Corte d'Assise il processo a carico di Daniele Severi, unico accusato dell'uccisione del fratello Franco, 53 anni, ritrovato decapitato, nel suo podere di Seggio di Civitella il 22 giugno dello scorso anno. A dover decidere sulle accuse che lo riguardano sarà un collegio di due giudici togati (la presidente del tribunale Monica Galassi e il giudice Marco de Leva a latere) e 6 giudici popolari. La Corte d'Assise, infatti, nell'ordinamento giudiziario italiano è l'unico tribunale che prevede la convocazione di una giuria popolare, e viene attivata solo per i reati più gravi, come appunto l'omicidio.
Tutti presenti in aula, al palazzo di giustizia di Forlì, per la prima udienza: sia l'imputato Daniele Severi, attualmente detenuto nel carcere della Rocca (tra il pubblico anche tutta la sua famiglia, la moglie e tre figli), sia le parti civili, vale a dire gli altri 4 fratelli Annamaria, Romano, Mario e Milena (assente il fratello Cesare, comunque costituitosi parte civile). A rappresentare l'accusa la pm Federica Messina. La difesa di Daniele Severi è rappresentata dagli avvocati Massimiliano Pompignoli e Maria Antonietta Corsetti, mentre Max Starni e Massimo Mambelli rappresentano i fratelli, tutti uniti e compatti nel sostenere le accuse mosse dalla Procura contro Daniele Severi, 64 anni, ex autista di ambulanze, residente a Meldola.
Tutto quello che sappiamo finora sull'omicidio
La ricusazione della giudice
L'udienza si è aperta con un colpo di scena: ieri sera, a poche ore dall'inizio del processo, è partita dal carcere di Forlì un'istanza di ricusazione della presidente del collegio Monica Galassi. Il rifiuto del giudice è planato sulla scrivania del magistrato solo questa mattina, pochi minuti prima dell'avvio del processo. A decidere sull'istanza di ricusazione dovrà essere ora la Corte d'Appello di Bologna, entro 20 giorni. Daniele Severi aveva sollevato la stessa questione giuridica anche durante l'udienza preliminare contro il giudice Massimo De Paoli. La ricusazione è un diritto previsto dalla legge e può essere invocato nel caso in cui il giudice che sta valutando il caso si sia già espresso con sentenza di colpevolezza, sullo stesso imputato, anche se in vicende giudiziarie diverse.
VIDEO - La prima udienza in Corte d'Assise
E' emerso, in particolare, che Galassi, nove anni fa, quando era Gip del Tribunale di Forlì, aveva emesso un decreto penale di condanna contro Daniele Severi, per il reato di minacce aggravate, in una delle innumerevoli controversie giudiziarie tra lui e i fratelli che perdurano da decenni. Stesso discorso per il gup De Paoli: anch'egli si era espresso in passato su una delle tante vertenze penali precedenti che vedono contrapposti Daniele e gli altri fratelli, divisi da anni di liti famigliari. Tuttavia in quel caso, la Corte d'Appello aveva rigettato l'istanza di ricusazione (poi impugnata in Cassazione dalla difesa di Daniele Severi). Nella prossima udienza dell'8 ottobre la Corte d'Appello, quindi, si sarà espressa sulla ricusazione di Galassi, decidendo quindi se dovrà essere lei a presiedere il collegio giudicante o se la magistrata andrà sostituita.
La famiglia di Daniele: "Convinti della sua innocenza"
"Imputazione in bianco"
Sono quindi partite le prime schermaglie tra le parti, con un Daniele Severi a fianco dei suoi avvocati quanto mai combattivo, pronto a scuotere la testa in segno di dissenso con quanto veniva detto, oppure intento a parlare e consultarsi con la propria avvocata Corsetti. E' stata proprio la legale a lamentare "l'insufficienza descrittiva dei fatti nel capo di imputazione", che sarebbero presentati in modo "fluido e con dati esigui" e con parole come "verosimilmente". "Sono ignoti nel capo d'accusa gli strumenti della morte e della decapitazione, il luogo e il tempo della commissione del delitto", ha detto Corsetti. Che ha concluso: "Un'imputazione in bianco, con vuoti di senso". Netta, però, la replica della pm Messina, secondo cui "non si può parlare di imputazione astratta", per esempio "la definizione dell'arma del delitto, non rinvenuta, può essere risalita dall'analisi della salma". Dello stesso parere, per la parte civile, l'avvocato Starni: "Il capo d'imputazione è perfetto, si capisce di cosa Daniele Severi viene accusato, non sono accuse su cui risulta difficile confrontarci".
I capi di accusa
Daniele Severi è accusato di omicidio volontario e premeditato per aver ucciso "verosimilmente attingendolo con colpi di arma da fuoco al capo e/o al collo, cui seguivano la decapitazione (al cadavere veniva amputato l'estremo encefalico e il collo) e il trascinamento in un dirupo scosceso adiacente all'abitazione della vittima". Diverse le aggravanti contestate, tra cui la crudeltà, gli abietti motivi .
Per la Procura (pm Federica Messina) la premeditazione sarebbe provata dal giorno dell'omicidio, avvenuto martedì 21 giugno, con Daniele Severi, secondo il capo di imputazione, che era "consapevole del fatto che l'unica visita che abitualmente riceveva a casa il fratello fosse quella della sorella Annamaria ogni lunedì, dunque potendo confidare nel considerevole lasso di tempo di una settimana prima che la donna potesse avvedersi del cadavere". Il movente invece viene identificato nei "profondi dissidi tra le parti, anche di natura economica, connesse alla gestione del podere di famiglia, acuitisi dopo la morte del padre".
Daniele Severi dovrà rispondere anche di occultamento di cadavere, reato che scatta anche quando manca una sola parte anatomica del corpo, con la testa amputata "con sega elettrica o fendente", ipotizza la Procura. Altro capo d'accusa per Daniele Severi è lo stalking nei confronti del fratello, perché - secondo il capo di imputazione - lo avrebbe minacciato alcune volte di tagliargli la testa con una motosega e l'avrebbe fatto oggetto di dispetti, litigi e visite non desiderate, anche notturne, tanto che la vittima negli ultimi mesi prima della morte avrebbe stravolto le sue abitudini di vita, mettendo il letto in cucina e adibendo così un'unica camera ad alloggio per tutte le sue esigenze, "murando" anche una porta con il frigorifero. Franco Severi aveva inoltre chiuso la strada con una sbarra munita di lucchetti (più volte vandalizzati) e fototrappola, poi danneggiata e durante le indagini reperita a casa dello stesso fratello Daniele. Contestata, infine anche la detenzione illegale di una canna da fucile semi-automatico, poi abbandonata in via Maglianella.