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Martedì, 16 Aprile 2024
Cronaca

Perché il pronto soccorso a Forlì (e in tutt'Italia) si sta inceppando: la fotografia di un sistema in crisi

I pronto soccorso degli ospedali romagnoli hanno gestito nel 2022 un numero di accessi pari al 22,6% della popolazione delle tre province romagnole

I pronto soccorso degli ospedali romagnoli hanno gestito nel 2022 esattamente 271.454 accessi, una cifra che è pari al 22,6% della popolazione delle tre province romagnole, inclusi i turisti che affollano le nostre spiagge d'estate. Un numero imponente, parliamo in media di più di un romagnolo su 5 che lo scorso anno si è rivolto ai servizi di emergenza.  Solo il 14,4% di questi utenti vengono ricoverati, ma per tutti comunque vengono rese 2 milioni e 276mila prestazioni, la gran parte esami di laboratorio (il 70%), ma anche circa 318mila esami diagnostici e altrettante visite specialistiche. Sono i dati che ha fornito l'Ausl Romagna al Consiglio comunale di Forlì.

Le attese? 56 i minuti per iniziare il percorso, 107 quelli per la consulenza, sempre secondo quanto indica l'Ausl nei suoi dati medi. In generale, il 62% degli utenti ha un tempo di permanenza in pronto soccorso inferiore alle 6 ore, questo vuol dire che più di un terzo degli utenti, una volta entrato nel pronto soccorso, passa qui l'equivalente di un turno lavorativo, anche se non si tratta solo di attesa, ma anche dei tempi per essere visitati, chiedere esami e aspettare i risultati. L'8,6% abbandona e firma per andarsene, probabilmente proprio per le lunghe attese.

Non si trovano i medici per gli ospedali

Quanti medici ci sono per gestire, assieme al resto del personale sanitario, questa mole di lavoro? Qui emergono le crepe più grosse dell'attuale sistema dei pronto soccorso: dovrebbero essere 204 in tutta la Romagna, per coprire turni H24, Natale e Ferragosto compresi. Ma ne mancano 53, vale a dire il 26% in meno. Quelli di medicina d'urgenza sono tra i reparti più critici per quanto riguarda i posti scoperti all'interno dell'Ausl Romagna. La media dei posti vacanti tra i camici bianchi nell'Ausl Romagna è del 12%, ma nel dato medio ci sono picchi alti (i servizi di emergenza le scoperture sono oltre il doppio della media) e situazioni meno problematiche. A febbraio 2023, quindi secondo dati recentissimi, mancano anche 17 neuroradiologi su 26 (il 65%), 18 epidemiologi e medici di sanità pubblica su 59 (il 31%), 27 medici internisti su 172 (il 16%) 32 anestesisti su 256 (il 13%), 14 psichiatri su 107 (il 13%).

In numeri assoluti, però, i medici più “introvabili” sono proprio quelli dei pronto soccorso. Ne mancano appunto 53. E tra i diversi reparti di urgenza ce ne sono alcuni messi peggio di altri: a Forlì mancano 8 medici su 17 in pianta organica, vale a dire circa la metà. Non va meglio il pronto soccorso di Ravenna, con 12 posti vacanti su 23 medici che dovrebbero essere, anche qui la metà. Stessa percentuale anche a Riccione: 4 posti vacanti su 9. Va invece perfino peggio il pronto soccorso di Lugo: secondo i dati diffusi dall'Ausl Romagna ci dovrebbero essere 10 medici per il pronto soccorso, ma 6 posti sono vacanti e un altro medico è assente non sostituito, di fatto ci sono 3 medici su 10 della pianta organica. Meno problemi a Rimini (7 vacanti su 30), Cesena (4 vacanti su 37) e Faenza (3 su 17).

Per l'Anestesia-Rianimazione sempre Forlì e Ravenna sono gli ospedali più sguarniti per le scoperture di medici. Sono vacanti o assenti non sostituiti 8 posti su 34 al "Morgagni-Pierantoni" di Forlì e 7 su 33 al "Santa Maria delle Croci" di Ravenna. 

Insomma, all'interno dell'Ausl Romagna attualmente risultano vacanti 216 posti da medico e nel corso dell'anno andrà pure peggio, dato che si stimano altri 82 pensionamenti. Perché questa situazione? L'Ausl non assume? No, tutt'altro. Il personale, in generale, è aumentato di oltre 1.200 unità. Al 27 febbraio scorso l'Ausl aveva a libro paga 16.688 lavoratori, mentre tre anni fa, alla fine del 2019, erano 15.442. Sono stati dimezzati anche i precari a tempo determinato, passati da 1.248 a 552. Ad aumentare, però, sono stati solo gli infermieri (+885) e gli operatori socio-sanitari (+273), mentre i medici sono passati 2.470 a 2.459 in tre anni in Ausl Romagna. 

Ma perché i medici sono merce rara?

Perché questa mancanza di medici? Il primo problema è che non se ne formano abbastanza in Italia. Il numero chiuso (secondo i suoi sostenitori dettato dalla necessità, a sua volta, di garantire a tutti laboratori, esperienze sul campo e didattica di qualità); il test unico con la stessa data a livello nazionale  (di cui è stata promessa l'abolizione) che forma un'unica maxi-graduatoria e costringe gli aspiranti medici a studiare a diverse centinaia di chilometri da casa (con costi ingenti per le famiglie di provenienza); il secondo "collo di bottiglia" dell'accesso alla specializzazione dopo la laurea; il fatto che molti, una volta laureati o specializzati prendono la strada dei Paesi esteri, dove le retribuzioni sono più alte, fa sì che i bandi delle Ausl pubbliche vadano deserti, tanto più se vengono indetti per i pronto soccorso. E ogni cambiamento nella programmazione universitaria ha effetto solo dieci anni dopo sulla professione, dato i lunghi tempi di formazione di un medico.

In più la sanità pubblica ha più lacci nell'assunzione dei medici, con risvolti anche assurdi. Uno di questi li ha spiegati il direttore generale dell'Ausl Romagna Tiziano Carradori, nel Consiglio comunale di Forlì: “Dal 2000 è necessario avere la specializzazione per l'assunzione nella sanità pubblica, tagliando così fuori 10-15mila camici grigi (laureati in medicina ma senza specializzazione, ndr), e più di 30mila medici ancora impegnati nei percorsi universitari, abilitati all'esercizio della professione: come Ausl non li posso assumere, mentre il sistema privato accreditato che eroga servizi alla sanità pubblica può farlo”. Insomma, già ce ne sono pochi, ma quelli che ci sono non si riescono neppure ad assumere.

Più della metà degli accessi non sono urgenze

Ma il secondo problema dei pronto soccorso dipende non da chi eroga il servizio, ma da chi lo richiede, vale a dire i pazienti. Più della metà di questi, infatti, non dovrebbero neanche trovarsi lì. I "codici bianchi", vale a dire le non urgenze, nei pronto soccorso dell'Ausl Romagna ammontano al 53% del totale. I codici lievi non urgenti (i "verdi") sono il 27,6%. Meno di un quinto degli accessi, in altre parole, si possono definire "urgenze". Le urgenze differibili (codici di media gravità, azzurro) sono l'8,8%, quelle gravi (arancioni) il 6,7%, quelle gravissime che necessitano intervento massimamente prioritario appena, e per fortuna, solo il 4%. 

Tuttavia dire che più della metà degli accessi ai pronto soccorso sono impropri non è certo dare una soluzione al problema, ma solo constatarlo, a meno che non si richieda al paziente immaginifiche doti di autodiagnosi quando sente un dolore, o riconosce un sintomo che lo allarma, oppure quando si è procurato un piccolo trauma che non riesce a gestire da solo con alcol e cerotti.

La guardia medica? Risponde al telefono

Il paziente, infatti, dovrebbe rivolgersi negli orari di servizio normale (le mattine e i pomeriggi dei giorni feriali) al proprio medico di base, che a sua volta - per garantire un servizio di maggiore continuità - si riunisce con altri colleghi in nuclei di cure primarie.  Fuori da questi orari (di notte nei feriali e nei giorni festivi e prefestivi), c'è la guardia medica. Il primo calvario per approcciarsi a quest'ultimo servizio è riuscire a prendere la linea per presentare telefonicamente il proprio caso (almeno nei capoluoghi), non parliamo poi per avere una visita.

Nell'Ausl Romagna ci sono 30 punti di continuità assistenziale. Ogni punto impiega l'equivalente di 3,62 medici full time, il ché porta per tutta l'Ausl Romagna a 116 posti-equivalenti full time di Guardia Medica. Ebbene, emerge che nel 2021, in tutta l'Ausl Romagna gli accessi sono stati 148.891, circa la metà di quelli dei pronto soccorso. Però, ben l'83% degli accessi sono state consulenze telefonica (e non persone in carne e ossa che si sono rivolte al desk del triage), appena l'11% visite in ambulatorio e il 6% visite a domicilio.

Nel territorio del distretto sanitario di Forlì le visite a domicilio si riducono ad appena l'1,1% e quelle ambulatoriali al 3,2%. Eppure, già nel vicino distretto sanitario di Ravenna le visite a domicilio salgono al 10% e quelle in ambulatorio ad un altro 15%. In sostanza, nella grande maggioranza dei casi il medico di continuità assistenziale risponde al telefono e, non avendo a disposizione alcuno strumento diagnostico, non può che dire, per qualsiasi caso dubbio, "Vada al pronto soccorso". 

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