Banda della Uno Bianca, scarcerato Marino Occhipinti: era all'ergastolo
Condannato all'ergastolo nel 1997 per l'omicidio di Carlo Beccari, guardia giurata di 26 anni uccisa nel 1988 durante l'assalto alla cassa continua della Coop di Casalecchio di Reno
Marino Occhipinti, uno degli ex poliziotti assassini della Banda della Uno Bianca, è un uomo libero. Il Tribunale di sorveglianza di Venezia, scrive il "Corriere della Sera", gli ha notificato in carcere, al "Due Palazzi", il provvedimento che da subito gli consente di uscire dalla casa di reclusione di Padova. Condannato all'ergastolo nel 1997 per l'omicidio di Carlo Beccari, guardia giurata di 26 anni uccisa nel 1988 durante l'assalto alla cassa continua della Coop di Casalecchio di Reno, nel Bolognese, l'ex poliziotto ha 53 anni e godeva del regime di semilibertà dal 2012.
Il 20 giugno scorso il suo avvocato, Milena Micele, ha presentato in udienza la documentazione a favore della libertà, che comprende le relazioni sul suo lavoro svolto fuori e dentro il carcere con la cooperativa Giotto. Secondo il provvedimento del Tribunale di sorveglianza il suo pentimento è "autentico", ha "rivisitato in modo critico il suo passato" e "non è socialmente pericoloso". Lo scorso anno fece discutere la notizia del permesso che gli fu accordato per trascorrere una settimana in albergo in Valle d'Aosta per un'iniziativa promossa da Comunione e Liberazione e dalla Cooperativa Giotto, alle cui dipendenze lavora da oltre 15 anni.
Commenta il deputato Marco Di Maio su Facebook: "Credo nella funzione rieducativa della pena (conoscendo il lavoro egregio che si svolge in alcune case circondariali come quella Forlì, grazie anche all’apporto decisivo della cooperazione sociale e del volontariato) e nella piena autonomia della giustizia rispetto agli altri poteri dello Stato; ma non posso nascondere le perplessità di fronte a una decisione che appare così sproporzionata e contraddittoria rispetto a ciò che esattamente un anno fa la Corte Suprema di Cassazione aveva negato".
"Il pensiero non va solo ai familiari delle vittime e al loro legittimo, comprensibile risentimento; ma anche a chi vuole continuare a credere nella giustizia e si trova di fronte ad un divario quasi incolmabile tra l’entità dei reati commessi (riconosciuti e riscontrati nei processi svolti) e la pena inflitta. Salvaguardiamo la possibilità di recupero, riabilitazione, riscatto; ma anche la fiducia verso la giustizia e le istituzioni", conclude.