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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

La terza ondata, vista dalla Rianimazione: "Trattamenti meno invasivi. Ed ora ricoveriamo anche 50enni"

La pressione negli ospedali della Romagna è aumentata, come certificato dai numeri diffusi recentemente dall'Ausl Romagna

Ad un anno di distanza dall'inizio dell'epidemia il covid-19 è ancora tra noi con quella che è ufficialmente la terza ondata. A causa della variante inglese l'indice dei contagi è salito notevolmente, colpendo soprattutto la fascia giovane. La pressione negli ospedali della Romagna è aumentata, come certificato dai numeri diffusi recentemente dall'Ausl Romagna, con conseguenze anche per il personale sanitario, "in trincea" dal marzo del 2020. Stanchezza tra gli operatori che viene confermata anche da Stefano Maitan, primario dell'Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione dell'ospedale "Morgagni-Pierantoni" di Forlì.

Dottor Maitan, qual è la situazione attuale?
Al “Morgagni-Pierantoni” i quattro posti disponibili in Terapia Intensiva per i pazienti covid sono occupati. Ma siamo in rete con le Unità Operative di Rianimazione degli altri presidi ospedalieri e possiamo contare sul fatto che ci sono a disposizione altri posti letto. La saturazione completa non è stata ancora raggiunta. Poi ci sono due posti liberi per i pazienti post-operati. L'attività chirurgica, per la parte oncologica o per interventi che non possono essere rinviati, va avanti. C'è una modesta riduzione rispetto al piano standard; stiamo cercando di garantire tutte le prestazioni possibili.

Collegandoci proprio a quest'ultimo aspetto, siete in "trincea" da circa un anno. Come state affrontando questo scenario dal punto di vista psicologico?
Il personale è stanco. Dobbiamo far fronte a diverse problematiche, e lo stress è legato al fatto che questa emergenza sta andando avanti tra alti e bassi da un anno. E ora c'è questa terza ondata che è diversa dalle altre.

La preoccupa?
Sì, perchè c'è una riduzione dell'età media rispetto a quelle precedenti. Chi è ricoverato in Terapia Intensiva ha un'età media tra i 50 ed i 60 anni.

Rispetto ai mesi passati come è cambiato il trattamento di un paziente covid in Terapia Intensiva?
L'ospedale di Forlì, così come quelli in Ausl Romagna, può contare su reparti di assistenza intermedia, le cosiddette “semi-intensive”, che consentono di rallentare il peso sulle terapie intensive vere e proprie, dando quindi più spazio a forme meno invasive di trattamento. Sicuramente sono cambiati i tempi di intervento, con la valutazione della risposta ad altre forme di assistenza ventilatoria. Infatti con l'intubazione non sempre si riusciva a salvare le persone. Ogni risposta terapeutica viene costruita intorno al singolo paziente, una sorta di terapia su di misura, perchè non c'è un comportamento univoco. Se c'è da ricorrere all'intubazione lo si fa, perchè non tutti rispondono positivamente alla ventilazione in maschera, con i caschi oppure alla terapia con ossigeno ad alti flussi.

E per quanto riguarda i farmaci?
Si cerca di trovare i farmaci più idonei al paziente. In Terapia Intensiva, dopo il trattamento con farmaci anti-virali, si prosegue con farmaci cortisonici ed eparina a basso peso molecolare. Poi se c'è bisogno somministriamo farmaci a supporto dell'attività cardiaca. 

Ci sono stati pazienti i quali, dopo aver osservato un periodo di Terapia Intensiva, hanno avuto un aggravamento delle condizioni di salute, necessitando di un nuovo ricovero?
Dopo il periodo in Terapia Intensiva trasferiamo i pazienti in un reparto di degenza, che può essere la Pneumologia o la Medicina a seconda della disponibilità. E' accaduto che qualche paziente abbia necessitato nuovamente di un nuovo ricovero in Terapia Intensiva. Ma è un discorso che si può estendere anche per pazienti non covid.

Il periodo medio di ricovero?
Non meno di tre settimane. Ed è questo uno dei motivi per cui si vengono a creare condizioni di saturazione negli ospedali.

Quando è atteso il picco di questa terza ondata?
Indicativamente ce lo attendiamo attorno al 21 marzo o comunque intorno alla terza decade del mese, poi vediamo. Previsioni a lungo termine non si riescono a fare, anche perchè i casi non stanno calando.

Ad un anno dall'inizio dell'emergenza cosa ha imparato da questa situazione?
Uno stress emozionale di questa portata non ce lo saremmo mai aspettati. La pandemia ci sta insegnando a come lavorare in ambienti a rischio, a come difendere pazienti e personale sanitario dai contagi, a prendere maggiormente in considerazione la personalizzazione delle terapie. Abbiamo dovuto lavorare non solo su aspetti sanitari, ma molto anche sul lato umano. E' stato quindi pesantemente formativo, un'esperienza che ci lascerà il segno e che speriamo possa essere utile in futuro per affrontare situazioni altrettanto gravi.

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