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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

Traffico internazionale di rifiuti, un arresto nel territorio forlivese

La complessiva azione investigativa ha consentito all’autorità giudiziaria di disporre 22 misure cautelari e sequestri di beni, ai fini di confisca, per oltre 176 milioni di euro, tra cui due aziende (in Piemonte e in Lombardia).

E' stato eseguito a Forlì un ordine di custodia cautelare in carcere nell'ambito di una maxi-operazione della Guardia di Finanza di Torino, in collaborazione con quella di Napoli, e collegata ad un'analoga operazione dello scorso marzo chiamata 'Ferramiù'. La complessiva azione investigativa ha consentito all’autorità giudiziaria di disporre 22 misure cautelari e sequestri di beni, ai fini di confisca, per oltre 176 milioni di euro, tra cui due aziende (in Piemonte e in Lombardia).

In particolare nell'operazione di martedì mattina sono finiti arrestati 7 soggetti (6 in carcere ed 1 ai domiciliari), per le ipotesi di reato di traffico internazionale di rifiuti metallici ed emissione e utilizzo di documenti attestanti operazioni inesistenti. Uno degli arrestati, un imprenditore del settore dei rifiuti ferrosi, originario del Napoletano è stato portato al carcere della Rocca in quanto era momentaneamente presente nel territorio provinciale per lavoro. E' stato anche disposto il sequestro preventivo di un’azienda operante nel settore del commercio di metalli ferrosi nonché di beni per oltre 43 milioni di euro, tra cui disponibilità finanziarie, immobili e quote societarie riconducibili agli indagati.

Le attività dirette dalla Procura della Repubblica di Torino - Direzione Distrettuale Antimafia (Pm Valerio Longi) rappresentano lo sviluppo operativo di ulteriori approfondimenti investigativi, condotti dai finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Torino successivamente agli arresti eseguiti nel marzo scorso a carico di 15 soggetti e ai sequestri disposti per oltre 130 milioni di euro, con l’effettuazione di perquisizioni e acquisizioni documentali presso decine di aziende ubicate in Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Molise e Campania e il coinvolgimento di società con sedi in Paesi dell’est Europa.

Le indagini hanno così consentito di individuare un’ulteriore società lombarda che predisponeva la “copertura” documentale e contabile dei rifiuti metallici illecitamente reperiti sul territorio nazionale, attestandone falsamente la regolarità secondo i requisiti richiesti dalla normativa dell’Unione europea. Successivamente, tali rifiuti venivano consegnati a fonderie o altre società commerciali del settore per essere reimmessi nel circuito produttivo.

In base alla legislazione dell'Unione Europea, infatti, affinché i rottami metallici non siano qualificabili come “rifiuto”, il produttore deve redigere e trasmettere ad ogni cessione una "dichiarazione di conformità", al fine di consentire, in ogni momento, l'individuazione dell'origine del rottame e, dunque, la tracciabilità dello stesso. Per le accuse la società “filtro” lombarda si era, di fatto, interposta, nel recente periodo, nella filiera imprenditoriale, simulando un’effettiva attività di acquisizione intracomunitaria proprio al fine di fornire un’apparente liceità a ingenti quantitativi di rifiuti metallici.

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