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Cronaca

Tumore al fegato: sopravvivenza sotto la media nazionale

In Romagna, il tumore maligno del fegato colpisce meno che in altre regioni italiane, ma la sopravvivenza è leggermente inferiore alla media nazionale.

In Romagna, il tumore maligno del fegato colpisce meno che in altre regioni italiane, ma la sopravvivenza è leggermente inferiore alla media nazionale. E’ questo il quadro epidemiologico che si ricava dal Registro Tumori della Romagna. I dati sono stati presentati da Fabio Falcini, direttore dell’U.O. di Prevenzione Oncologica dell’Ausl di Forlì, in apertura del convegno “Epatocarcinoma oggi. Dall’epidemiologia al trattamento multidisciplinare”, promosso dall’U.O. di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva dell’Ausl di Forlì, diretta dal prof. Enrico Ricci.

In collaborazione con l’Associazione forlivese Malattie del fegato, presieduta da Salvatore Ricca Rosellini, della stessa unità, per favorire un confronto fra tutti gli esperti di Area Vasta coinvolti nel trattamento della patologia. In Italia, le malattie neoplastiche del fegato presentano un’incidenza del 4,4% negli uomini e del 2,6% nelle donne, mentre la mortalità è rispettivamente del 7,3% e del 5,1%. La Romagna si pone al penultimo posto fra tutte le regioni italiane, con un’incidenza dell’1% negli uomini e dello 0,6% nelle donne, e una mortalità pari, rispettivamente, all’1,6% e all’1,3%.

Nell’ambito dei tumori maligni del fegato, la morfologia più frequente è l’epatocarcinoma, che colpisce il 79% degli uomini e il 66% delle donne. Anche in questo caso, le percentuali romagnole sono assai inferiori, con una diffusione intorno al 50% negli uomini e al 39% nelle donne. Per quanto riguarda la sopravvivenza, invece, la Romagna si pone leggermente al di sotto del dato nazionale, anche se il trend è positivo, visto che si è passati dal 3,6% del triennio 1986-1989 al 13,9 del 2001-2004.

L’origine più frequente dell’epatocarcinoma resta la cirrosi. I fattori di rischio principali sono, pertanto, l’epatite B, l’epatite C con fibrosi in stadio avanzato, e il consumo di alcol, in quanto favorisce l’insorgere della cirrosi; da non sottovalutare, tuttavia, diabete e obesità. Dai dati presentati durante il convegno, è emerso come un’attenta sorveglianza abbia consentito di ridurre del 37% la mortalità in un gruppo di pazienti selezionati proprio attraverso il monitoraggio dei fattori di rischio. La sorveglianza può essere attuata, efficacemente, attraverso l’ecografia, lo screening, da riservare ai pazienti a maggior rischio, e l’imaging dinamico, che, tuttavia, va praticato solo nei centri specializzati. In alcuni casi, si può ricorrere alla risonanza magnetica, anche in associazione alla TAC. Altrettanto fondamentale è operare una corretta diagnosi e stadiazione della malattia, basata su definiti parametri di laboratorio. Solo così, infatti, è possibile stilare la giusta prognosi e scegliere le strategie terapeutiche più appropriate per ogni singolo caso. Attualmente, infatti, a trattamenti “classici” quali quelli percutanei, la resezione chirurgica, e, naturalmente, il trapianto di fegato, si sono aggiunte nuove armi come la chemioembolizzazione e i farmaci antiangiogenetici (farmaci capaci di far crescere i vasi sangugni), in grado di dischiudere ulteriori opportunità.

Per garantire tutto ciò, però, è necessario un approccio multidisciplinare alla malattia, attraverso il coinvolgimento dei diversi professionisti interessati, chiamati a confrontarsi insieme per decidere le opzioni migliori per ciascun paziente. Al termine dei lavori, tutti i partecipanti hanno ricevuto il manuale “Epatocarcinoma oggi”, nato in seno all’U.O. di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva dell’Ausl di Forlì e curato dal dott. Ricca Rosellini, con le indicazioni più recenti per la cura dei questi pazienti, nonché utili suggerimenti per un più moderno approccio assistenziale, specialistico, multidisciplinare e, appunto, in rete.

 

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