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Agricoltori preoccupati: "Grande crisi, speriamo che la peschicoltura sopravviva"

"Come ogni anno, infatti, la concorrenza europea e del sud Italia porta sul mercato una pesca ottenuta a costi di produzione estremamente più bassi di quelli romagnoli"

È la pesca romagnola il prodotto di eccellenza delle no­stre terre attorno a cui si è costituita l’associazione Cultu­rale “San Martèn” di San Martino in Villafranca. Un gruppo di agricoltori e volontari del Comitato di Quartiere nel 2012 ha deciso di dare vita a “Pesche in Festa”, evento estivo per far conoscere le mille peculiarità della regina della pro­duzione frutticola locale.

"Anche quest'anno gli agricoltori romagnoli si trovano a dover fronteggiare un mercato molto pesante - commenta Giovanni Battista Drei, tecnico agronomo e agricoltore a San Martino in Villafranca, che si fa portavoce degli agricoltori - Come ogni anno, infatti, la concorrenza europea e del sud Italia porta sul mercato una pesca ottenuta a costi di produzione estremamente più bassi di quelli romagnoli, dovuti principalmente alle dimensioni diverse delle aziende agricole, che in Romagna sono di circa 30 ettari medi (quelle frutticole), mentre in Spagna sono di 200-300 ha e nel meridione italiano 100. Oggi il mercato sembra riconoscere costi di produzione medi attorno ai 25 centesimi di euro, mentre sappiamo che per remunerare tutti i fattori della produzione in Romagna (inclusa la sicurezza, e le norme igienico sanitarie) ne occorrono 40. Molti agricoltori hanno anche diversificato la produzione sulle albicocche, dove purtroppo si sta ripetendo il medesimo scenario. L'annata non è stata comunque esente da difficoltà produttive: continua la diffusione e gli espianti della "sharka", pericoloso virus dei pescheti, e quest'anno ha fatto la sua comparsa anche la cimice asiatica, insetto di nuova apparizione che deforma il prodotto con le sue punture. Facendo una generazione unica e continua, è un vero flagello di pesche e nettarine".

"Il settore peschicolo in Romagna è comunque un settore che assorbe personale, spesso familiare nella gestione delle aziende, ma anche parecchia manodopera avventizia - prosegue Drei - Un pescheto richiede approssimativamente 500 ore di manodopera per ettaro di superfice. Si potrebbe pensare ad un impiego di manodopera tramite inserimenti di immigrati nella raccolta, possibilmente affiancati a corsi di lingua e a un monitoraggio con le prefettura. La soluzione del problema è ancora aperta ed estremamente incerta. A San Martino si continua a fare festa, nella speranza che la peschicoltura possa sopravvivere".

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