Convegno di studi sulle Colonie per l'infanzia nel ventennio fascista
"Colonie per l’infanzia nel ventennio fascista. Un progetto di pedagogia del regime", è il titolo di un convegno di studi in programma a Palazzo Romagnoli, Forlì, prganizzato dall'iIstituto storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea.
Il tema delle colonie di vacanza è stato affrontato in Italia prevalentemente da pedagogisti e architetti e, in misura minore, da studiosi del territorio e delle relazioni fra uomo e spazio. Gli storici, fatta eccezione per alcuni riferimenti legati all’organizzazione della propaganda in studi sul regime fascista, hanno per lo più trascurato questo argomento di indagine che si presta a riflessioni sotto diversi punti di vista.
La colonia di vacanza sotto il profilo fisico può essere considerata un’eterotopia, un luogo localizzabile, ma che si distingue da ogni altro luogo e che ha una forte valenza simbolica, all’interno del quale la comunità vive in una realtà alternativa al vissuto quotidiano consueto. Le colonie possono poi essere viste come istituzioni totali, poiché i residenti sono mantenuti separati dal resto della società e la loro vita in colonia è scandita rigidamente e controllata, così come rientrano in schemi rigidi le dinamiche interne alla colonia e il suo funzionamento.
Le prime colonie di vacanza per bambini in Italia sorsero alla metà dell’Ottocento per poi diffondersi in modo più organizzato e sistematico tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.
Le colonie avevano finalità essenzialmente curative ed erano rivolte a bambini bisognosi e malati che non avevano accesso alle terapie. Gli organizzatori delle prime colonie, o meglio ospizi, erano religiosi o filantropi laici appartenenti alle classi agiate: medici, avvocati, architetti, artisti, aristocratici. Le colonie di vacanza ebbero quindi una genesi caritativa e rimasero prevalentemente in mano ai privati (specialmente banche, opere pie e singoli benefattori) fino agli anni Venti del Novecento.
L’avvento del fascismo nel 1922 mutò questo stato di cose in modo radicale. Nel corso degli anni Venti il fascismo affidò la gestione delle colonie alle federazioni locali del Partito nazionale fascista, all’Opera nazionale Balilla, l’organizzazione legata al ministero dell’Educazione che inquadrava i bambini e i ragazzi, maschi e femmine, dai 6 ai 18 anni, e all’Opera nazionale maternità e infanzia per l’assistenza alle madri e ai bambini. Verso la metà degli anni Trenta le colonie di vacanza furono riorganizzate secondo le linee di un maggiore accentramento che riguardò l’intero sistema fascista. In questi anni infatti il fascismo puntava alla massima organizzazione dello Stato totalitario e del consenso e per questo centralizzò e pose sotto il controllo dello Stato e del partito tutta la vita politica, economica e sociale italiana.
L’educazione dell’infanzia, principale veicolo per la creazione dell’“uomo nuovo fascista” e dei futuri soldati per le guerre del fascismo, ricevette una particolare attenzione sia nel campo della scuola sia in quello dell’organizzazione delle attività ricreative e assistenziali quali le colonie di vacanza. Nel 1937 esse, come tutte le organizzazioni e le strutture destinate all’infanzia, furono affidate alla Gioventù italiana del Littorio (Gil), dipendente dal Pnf, che collaborava per la gestione delle colonie con i presidi sanitari locali e con le prefetture. Negli anni Trenta crebbero sia il numero delle colonie di vacanza che quello dei bambini ospitati. L’annuario dell’Istituto centrale di statistica italiano indica una crescita esponenziale di tali strutture fino al 1942, comprendendo però non solo le colonie di vacanza estive, ma anche quelle di cura permanenti aperte tutto l’anno, dove i bambini restavano dai 4 ai 6 mesi e quelle diurne aperte d’estate senza pernottamento e con finalità di prevenzione delle malattie: dalle circa 107 colonie per approssimativamente 60.000 bambini nel 1926, si passò a 5.805 colonie per 940.615 bambini nel 1942. Buona parte delle colonie estive marine fu costruita sulla riviera dell’Emilia Romagna nelle zone di Rimini, Cattolica, Cesenatico, Cervia, nel territorio delle province di Forlì-Cesena, Rimini e Ravenna.