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Economia

Decreto sostegni, Confcommercio fa i conti: chi ha perso 165mila euro ne riceverà appena 5mila

Afferma Zocca, presidente di Fipe Confcommercio Forlì: "Serve un progetto che dia una prospettiva di futuro reale alle imprese e non solo un sostegno temporaneo, che appare oggi una fragile stampella"

Con il decreto Sostegni il ristorante tipo che nel 2019 fatturava 550mila euro e che nel 2020, a causa degli oltre 160 giorni di chiusura imposti dalle misure di contenimento della pandemia da Covid, ha perso il 30% del proprio fatturato, 165mila euro, beneficerà di un contributo una tantum di 5.500 euro. Poco cambia per un bar tipo. Chi nel 2019 fatturava 150mila euro e ne ha persi 25mila a causa delle restrizioni, avrà diritto a un bonus di 1.875 euro, il 4,7% della perdita media annuale. Sono queste le simulazioni prodotte dall’Ufficio Studi di Fipe-Confcommercio, la Federazione Italiana dei Pubblici esercizi, all’indomani dell’approvazione del Dl Sostegni.

"Il decreto Sostegni era certamente necessario, ma è evidente quanto non possa essere considerato sufficiente - premette il presidente di Fipe Confcommercio, Andrea Zocca -. Da settimane si parlava di aiuti perequativi, selettivi, adeguati e tempestivi e questi aggettivi non descrivono le misure proposte. Innanzitutto, la coperta del sostegno a famiglie e imprese è evidentemente troppo corta per la platea che si propone di aiutare: settori come la ristorazione sono stati messi letteralmente in ginocchio dalla gestione dell’emergenza e i limiti imposti sulla perdita di fatturato o sui massimali erogabili hanno effetti perversi sul sostegno alla parte più sana della nostra economia".

Zocca cita due esempi: "Ci si lamenta del nanismo delle imprese italiane e poi si mette un limite di 10 milioni di fatturato per accedere ai sostegni; e ancora: si dichiara che i contributi sono calcolati sulla perdita di fatturato annuo, ma in realtà si indennizza una sola mensilità media. C’è la spiacevole sensazione di voler aggirare il problema. Il punto è che bisogna uscire immediatamente dall’ottica di breve periodo e mettere in piedi un piano di ripartenza che garantisca il diritto al lavoro e non sottoscriva semplicemente il dovere di stare chiusi. Serve un progetto che dia una prospettiva di futuro reale alle imprese e non solo un sostegno temporaneo, che appare oggi una fragile stampella".
 

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