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Caporalato, il commercio delle braccia umane anche nel Forlivese: "Dati allarmanti"

“Sono dieci anni che qui - dice il sindacalista - abbiamo incrociato il problema occupandoci di sei lavoratrici e un lavoratore dell'est sfruttati da una caporale rumena con uno spessore criminale rilevante"

Si è svolta mercoledì mattina la presentazione del rapporto Agromafie e Caporalato, stilato dall’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil. Arturo Zani, segretario generale Flai Cesena, ha ripercorso la situazione inerente al territorio di Forlì-Cesena dell’ultimo decennio, in cui il fenomeno del caporalato ha interessato maggiormente i settori agricolo, turistico e dei trasporti. Roberto Iovino, della Flai nazionale, e Francesco Carchedi, docente dell’Università La Sapienza di Roma, che hanno partecipato alla stesura del rapporto, hanno presentato i risultati del rapporto, che riporta dei dati allarmanti. “Nella nostra provincia - sottolinea il dirigente sindacale - il caporalato ha avuto una diffusione preoccupante e non residuale”.

Il forlivese e il territorio cesenate, stando alle parole di Zani, sembra che stiano facendo scuola in questo genere di criminalità. “Sono dieci anni che qui - dice il sindacalista - abbiamo incrociato il problema occupandoci di sei lavoratrici e un lavoratore dell'est sfruttati da una caporale rumena con uno spessore criminale rilevante. Da allora il quadro non è cambiato, bensì peggiorato perchè si sono affinate le capacità di reclutamento del personale da avviare al lavoro attraverso numerosi canali  nelle terre d'origine  oppure con il passa parla tra immigrati regolari o clandestini senza lavoro. Una volta in Italia viene fornito a loro un numero di cellulare del caporale che li incontra in luoghi pubblici per avviarli al lavoro, spesso in comuni e regioni distanti che raggiungono  tramite scassati pulmini o auto".

"Il lavoro, generalmente poco qualificato in particolare nell'agricoltura e nell'allevamento, ma non mancano casi anche in altri tipi di attività, può durare anche  dieci, quindici  ore giornaliere retribuite tra i quattro e cinque euro ogni ora, escluso il viaggio - è stato evidenziato -. Niente diritti, niente malattia, infortuni, maternità e altre forme elementari di assistenza di cui hanno diritto i lavoratori. A volte succede che qualcuno abbia parte della paga in una parvenza di busta legale, ma non è altro che un palliativo per coprire l'utilizzo di manodopera in nero segnando poche giornate. Oltre a questo, in ragione di duecentocinquanta euro mensili, viene dato un posto letto a chi ne ha bisogno in località periferiche come Linaro, Piavola, Bora, Gualdo, Oriola, Ranchio, Borello, San Carlo".

"Chi gestisce tutto il complesso di malaffare sono delle cooperative fittizie create ad hoc che dopo poco tempo spariscono per poi ricomparire registrate con altri nomi, ma con gli stessi titolari che il più delle volte sono prestanome nullatenenti e quindi con niente da perdere - è stato spiegato -. A tutto questo si aggiunge il commercio dei permessi di lavoro legati ai flussi regolamentati per legge. Aziende agricole  senza scrupoli collegate con  commercialisti conniventi, redigono contratti di lavoro per pochi giorni, con questo in mano il lavoratore può avere il permesso a soggiornare in Italia, ma la pratica gli costa seimila euro che verranno divisi, esentasse, tra agricoltore e commercialista".

"Interessati a questo fenomeno di schiavitù del terzo millennio sono in particolare lavoratori extracomunitari e si stima che in provincia siano oltre trentamila - è il dato -. Nei confronti del caporalato è in vigore la legge 199 che tuttavia non sembra spaventare più di tanto anche se forte, per stessa ammissione del sindacato, è l'azione delle forze dell'ordine specie della Guardia di Finanza. Purtroppo le azioni di polizia richiedono tempo, mezzi e uomini e questi spesso non ci sono considerando, inoltre, che gran parte di queste false cooperative hanno sede a Verona e nel Veneto rendendo evidente il sospetto che in queste zone ci sia la regia di tutto questo".

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