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Alla riscoperta della acque nascoste della città: "Celati Flussi" le trasforma in arte

Dai "Celati Flussi" di Forlì è partita la riflessione artistica del Collettivo Apolide, in occasione di S-Legami, fontane di giardini privati come quella di villa Gemma, e il pozzo seicentesco dell'ex convento dei francescani

Dai “Celati Flussi” di Forlì è partita la riflessione artistica del Collettivo Apolide, in occasione di S-Legami, fontane di giardini privati come quella di villa Gemma (Studio Siroscape, via Oreste Regnoli, 3), e il pozzo seicentesco dell’ex convento dei francescani (via Marcolini, 12), ormai prosciugato perché ha perso la sua funzione nella compagine contemporanea. Da queste due silenziose presenze, parte l’idea di far dialogare il lavori degli artisti coinvolti intorno al tema più generale dell’acqua, come bene primario, insostituibile, come elemento naturale fragile e dirompente allo stesso tempo, ma anche come forma simbolica della vita e della rigenerazione.

L'evento è ideato da Siroscape Architettura, Collettivo Apolide (MATTEO BABBI,  GIULIA BASSANI,  ALICE CESARI, MARTINA ESPOSITO,  ELENA HAMERSKI, MATTEO LUCCA, MATTEO MANGHERINI,  MARIA PAOLINI,  ALESSANDRO RUGGIERI,  MARCO SERVADEI M., CHRIS YAN), Stefano Ricci. Venerdì 17 inaugurazione con aperitivo alle ore 19 offerto da Siroscape e Fairmesse e sabato 18 porte aperte fino a sera.

L’intervento artistico si concretizza in due azioni site specifiche , che prevedono diverse forme
d’arte. Nel giardino di primo Novecento, “Celati flussi/riflessioni” è un’installazione di Light Box, in cui ogni artista interpreta il tema dell’acqua, come riflesso dell’elemento che scaturisce dalla fontana. La corte del centro culturale San Francesco è invece lo scenario dell’installazione, “Celati flussi/arginazioni” che ha per protagonista il pozzo antico. Abbandonata la sua primitiva funzione, esso non è più fonte di vita, ma contribuisce anch’esso alla progressiva “mineralizzazione” dello scenario che viviamo.

Sono intrinsecamente legate a quest’ultimo intervento due azioni performative, nella notte di sabato, di Elena Hamerski e Matteo Lucca, i quali introducono il tema dell’acqua nella loro opera come elemento germinativo che dà forma, lava, purifica, consuma e la videoproiezione Flow of water (2013), di Matteo Mangheini che si sofferma sul fluido come elemento totalizzante, partendo dall’affermazione di Talete: "L'acqua è il principio di tutte le cose; le piante e gli animali non sono che acqua condensata e in acqua si risolveranno dopo la morte".

Gli organizzatori partono da questa riflessione: “Può fare a meno dell’acqua una città “sostenibile”? La domanda, scontata in apparenza, si rivela invece piuttosto intrigante se non sconcertante ad un confronto con la realtà. L'acqua è un bene essenziale, elemento indispensabile alla vita biologica. Ma in centinaia di anni la cultura occidentale (e non solo) ha reso l'acqua anche uno straordinario fattore di costruzione di una convivenza civica (propria della città). I principali nuclei abitati si sono sviluppati sui fiumi, e c'è sempre stato un progressivo tentativo di portare nel loro centro corsi d'acqua, fonti, fontane, lavatoi. Attorno a questi elementi si è dunque via via costruita un'immagine della scena urbana che ha contribuito a costruire un'idea della convivenza civile. Il valore etico dell'acqua si è sempre legato quindi nella città ad un valore estetico. Forlì ha sempre avuto una “cultura” dell'acqua: qui infatti, incredibile a immaginarsi oggi, scorrevano in vista diversi rami di canali fino all'inizio del Novecento. Ancora nel secondo dopoguerra si costruivano in pieno centro nuove fontane, come quella in Piazza Ordelaffi, quella del Tribunale, quella in piazza Cavour. Tutto oggi è come scomparso: canali interrati, fontane prosciugate e desolanti nella loro insignificanza attuale. È questo il modello di sostenibilità a cui ci dobbiamo progressivamente abituare? Oggi, a causa dell’imperare di una nuova “cultura”, quella della manutenzione “facile” ed efficiente, sembra che l’acqua nella città sia destinata a diventare sempre meno “bene pubblico”, e sempre più un “bene privato”, raro e prezioso, da ricercare piuttosto in angoli intimi e nascosti”.

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