Il Premio Nobel per la pace Shirin Ebadi a Forlì per un incontro ispirato al suo ultimo libro
Mercoledì l'Auditorium Cariromagna di Forlì (in via Flavio Biondo, 16) ospiterà alle 11, nell'ambito degli "Experience Colloquia" promossi dalla Fondazione Cassa dei Risparmi, un incontro con il premio Nobel per la pace Shirin Ebadi.
Nata nel nord dell’Iran Shirin Ebadi ha studiato giurisprudenza a Teheran e subito dopo la laurea ha partecipato agli esami per diventare magistrato. Dal 1975 al 1979 ha quindi ricoperto la carica di presidente di una sezione del tribunale di Teheran. Dopo la Rivoluzione Islamica del 1979 è stata costretta, come tutte le donne giudice, ad abbandonare la magistratura. Nel 1994 ha partecipato alla fondazione della "Society for Protecting the Child's Rights" un'associazione non-governativa della quale è tuttora dirigente. Nel 2009 la polizia di Teheran ha fatto irruzione nel suo appartamento sequestrando il premio Nobel conferitole nel 2003. All'epoca dei fatti Shirin Ebadi si trovava all’estero per un ciclo di conferenze e da allora non ha più potuto fare rientro in patria. Come avvocato continua ad occuparsi di casi di liberali e dissidenti entrati in conflitto con il sistema giudiziario iraniano.
L'incontro, aperto gratuitamente a tutti fino ad esaurimento posti prenderà spunto dal suo ultimo libro “Finché non saremo liberi. Iran. La mia lotta per i diritti umani”, che Shirin Ebadi ha affermato di aver scritto “per rendere testimonianza a ciò che il popolo iraniano ha sopportato nell’ultimo decennio”, ovvero “come uno stato di polizia possa influire sulla vita delle persone e gettare famiglie nella disperazione”. Ma pur senza cedere a facili ed inutili ottimismi, Shirin Ebadi crede che un cambiamento in Iran sia possibile, ed in ogni caso non ha nessuna intenzione di abbandonare la lotta. Alle persone che “venivano a cercarmi e mi chiedevano come avevo fatto a resistere” scrive in un passo del libro, “dicevo che, come me, dovevano concentrarsi sul lavoro e non soffermarsi sul dolore dell’esilio. Eravamo come persone salite a bordo di una nave che era affondata, obbligando tutti a nuotare in acque profonde. Non avevamo altra scelta che nuotare; cedere alla stanchezza semplicemente non era possibile, voleva dire annegare. Dicevo loro di non pensare alla costa e a quanto era lontana, addirittura invisibile, perché questo li avrebbe portati alla disperazione. Questa è la nostra situazione. Nuotiamo nell’oscurità, senza cedere al pessimismo e al pensiero della costa lontana”.