Le “sedimentazioni” di Antonio Giosa in mostra
Non accade spesso, entrando in una Galleria d'Arte, di entrare in uno spazio che conduce ad una realtà concepita come ulteriore, "al di là" rispetto a questo mondo, trascendentale. E' ciò che si percepisce nell'allestimento della rassegna di opere che Antonio Giosa presenta nella Galleria d'Arte "Farneti" a Forlì, fino al 17 maggio.
Una introduzione alla mostra presenta una serie di opere antologiche, una seconda sala ospita le opere dell'ultimo periodo creativo dell'artista. Nella prima parte, la materia scultorea inerte, modellata in una ricerca di equilibri sofisticati tra spazi vuoti e pieni è ancora dominata dal valore estetico dell'immagine, il rigore e la perfezione sono supportati dalla materia organica e quindi non inerte del legno, il bronzo si appoggia ad esso, creando armonie di solisti. Nella seconda, l'armonia è quella di un'orchestra intera, il legno interagisce con la terracotta ed il metallo, i toni del bruno, dell'ocra e del cromo acciaio diventano icona e simbolo semiotico nel papiro di creta, nelle sculture evocative ; totem del passato e del futuro. Una "operazione alchemica" trasforma ciò che fu albero, poi trave o altro in essenza comunicativa, in altri termini la sintassi dell'arte.
Conobbi l'artista nel lontano ottobre 1975, in una mostra che l'allora ventiquattrenne artista realizzò a Forlì, nella storica sede espositiva di "Sala Albertini", insieme allo scultore cileno Jose Fajardo, anche allora il valore del simbolo, dell'esigenza di riempire spazi con figure e forme indagatrici dell'io profondo, che non cedevano nulla ad alcuna esplicitá, mi trasmisero sensazioni importanti, fu un viatico introduttivo al mondo dell'arte, dove nulla è ceduto alla superficialità nell''agire, nel pensare e nell'osservare.
Ritornando ad oggi, Giosa, in questa mostra, ufficializza un passaggio di consegne da se stesso a se stesso,
rinnovando un impegno generatore di forza creativa che solo i grandi artisti riescono a concepire.
E' certo che l'arte del maestro continuerà ad essere viatico, come lo fu per me quando avevo quattordici anni, anche per le giovani generazioni di oggi, come lo è stato per i tanti allievi del lungo periodo trascorso nel mondo dell'insegnamento all' Istituto d'Arte di Forlì.
Gabriele Catozzi