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La nuova mostra al S.Domenico: via la 'Damnatio memoriae' su Wildt

gli Istituti Culturali di Forlì custodiscono il "corpus" di opere più interessante della sua sterminata produzione, le 7 sculture donate nel 1925 alla comunità forlivese da Raniero Paolucci De Calboli in ricordo del figlio Fulceri

Forlì scommette su Wildt. Volendo mutuare un’espressione del presidente della Fondazione della Cassa dei Risparmi Piergiuseppe Dolcini, “giunti che siamo alla settima mostra internazionale allestita al San Domenico, ci sentiamo in grado e in dovere di riscoprire uno dei maestri della scultura europea del ‘900, Adolfo Wildt”.

Vernice della mostra di Wildt a Forlì

Scenario migliore per saldare il debito con questo genio dimenticato, non si poteva trovare: gli Istituti Culturali di Forlì custodiscono il “corpus” di opere più interessante della sua sterminata produzione, le 7 sculture donate nel 1925 alla comunità forlivese da Raniero Paolucci De Calboli in ricordo del figlio Fulceri. Ma c’è anche la sfida nella sfida: “Se l’interesse per questo evento – continua Dolcini in apertura della ‘vernice’- sarà nella media delle iniziative pregresse, si tratterà di un grande successo per la Fondazione e per il Comune di Forlì, che hanno creduto sin dall’inizio nella potenzialità di Forlì città d’arte”.

Sarà anche la prova, aggiungiamo noi, dell’acquisita maturità dei cultori d’arte italiani, che avranno dimostrato di apprezzare Wildt e la sua forza espressiva, a dispetto della ‘damnatio memoriae’ ideologica cui era relegato da decenni. Il primo ingrediente del buon gusto espositivo degli organizzatori delle rassegne al San Domenico, sta proprio nel contenitore. Ora che anche la chiesa di San Giacomo è pronta, balza sempre più all’occhio l’assoluta qualità dell’intervento: uno dei più importanti recuperi monumentali mai operati in Italia, a totale disposizione delle rassegne cultural-artistiche più imponenti. Oltre all’introduzione del presidente Dolcini, la vernice per le autorità e la stampa della mostra “L’anima e le forme, tra Michelangelo e Klimt”, in mostra fino al 17 giugno prossimo in piazza Guido da Montefeltro, ha visto gli interventi dell’assessore comunale alla cultura John Patrick Leech e dei curatori Fernando Mazzocca, Paola Mola e Marco Antonio Bazzocchi.

Già il coordinatore Gianfranco Brunelli aveva messo in luce il “fil rouge” che lega “Wildt” ai sei eventi espositivi pregressi: “Anche in questo caso ci siamo mossi da un capolavoro che è già patrimonio della città”. Trattasi del nucleo di opere conservate a Forlì, dovute al mecenatismo della famiglia Paolucci De Calboli. La mostra su Wildt costituisce l’apripista del “Progetto Novecento. Percorsi - Eventi – Interpretazioni” che si svilupperà nel 2013 a Forlì, già città del Duce, con la grande mostra “DUX, arte italiana negli anni del consenso”.

Nuovamente il presidente della Fondazione Piergiuseppe Dolcini: “Perché un evento su Wildt, artista che ebbe onori e fama proprio durante il Ventennio? Personalmente, credo che i conti col fascismo li abbia chiusi nell’immediato dopoguerra l’approvazione della Carta Costituzionale da parte dei padri dell’Italia democratica. Ragion per cui è giusto ritornare a godere delle eccellenze artistiche di questo genio”. Prima dell’intervento del curatore Fernando Mazzocca, Brunelli ha comunicato che l’assenza dalla “vernice” del presidente del comitato scientifico, il direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci, è dovuta a motivi di salute: “Il professore interverrà pubblicamente su Wildt fra un mese, qui a Forlì, non appena si sarà ripreso completamente. E’ una promessa”.

Nella grande sala del Refettorio del San Domenico erano presenti anche alcuni prestatori delle 250 opere (solo di Wildt sono 190) esposte a Forlì: i delegati dell'Archivio Scheiwiller, il grande editore milanese che per via familiare ha ereditato molte opere e materiali dell’artista, e la fiorentina Elisabetta Archi, titolare dei due disegni wildtiani esposti in rassegna, tratti da opere michelangiolesche. “Questa mostra – interviene Fernando Mazzocca – è la più grande esposizione wildtiana mai allestita in Italia. Merito dei decenni di studi sull’artista milanese operati dalla professoressa Paola Mola. E’ una rassegna completa, in grado di decifrare totalmente la sua ispirazione artistica”.

“Wildt – prende la parola la stessa Mola – è stato artista straordinario proprio perché si è rifatto a tutti i migliori momenti della storia espressiva mondiale: antica Grecia, classicismo, rinascimento, antirinascimento, barocco italiano e simbolismo, fino a toccare la modernità con il surrealismo”. La sua maestria a trasfigurare l’umano dal marmo, si presta bene al confronto con i vari Fidia, Cosmè Tura, Antonello da Messina, Dürer, Pisanello, Bramante, Michelangelo, Bramantino, Bronzino, Bambaia, Cellini, Bernini, Canova, Previati, Mazzucotelli, Rodin, Klimt, De Chirico, Morandi, Casorati, Martini, Fontana e Melotti.

L’emozione più forte alla prima visita guidata della rassegna, è il “dialogo” immediato fra le creazioni di Wildt e le opere antiche che l’hanno ispirato, tutte esposte fianco a fianco sotto lo stesso tetto del San Domenico. I volti marmorei del genio milanese contendono l’occhio del visitatore all’Apollo di Kassel e alla testa di Fidia. Dolcini e i curatori della rassegna fino all’ultimo ostentano indifferenza e disinteresse per i numeri: anche se è fuori dubbio e persino ovvio che “L’anima e le forme, da Michelangelo a Klimt” appaia subito un investimento colossale, in grado di superare ogni più rosea aspettativa in fatto di biglietti staccati e di accessi alla mostra.

LA VISITA DI SGARBI - Tra i primi visitatori della mostra “Adolfo Wildt. L'anima e le forme da Michelangelo a Klimt” non poteva mancare Vittorio Sgarbi, già curatore nel 2000 della mostra “Wildt a Forlì” ospite di Palazzo Albertini. Giunto in serata ai Musei San Domenico di Forlì, Vittorio Sgarbi ha osservato che si tratta di “una mostra originale, stupenda” oltre che “una delle migliori chiavi interpretative del Novecento”. Grande l’apprezzamento anche di un altro visitatore di chiara fama, il giornalista e critico d’arte Fabio Isman, che non ha esitato a definire la mostra “un’orgia di capolavori”.

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