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Per queste elezioni a Forlì mai così tanti politici "paracadutati": perché da Roma arrivano le candidature di "illustri sconosciuti"

Gli elettori della provincia, infatti, sia nella scheda elettorale della Camera che in quella del Senato, il 25 settembre si ritroveranno sulla scheda nomi di “illustri sconosciuti”

Presente in ogni tornata elettorale nazionale, il fenomeno dei “paracadutati” quest’anno è particolarmente evidente per il territorio di Forlì e di Cesena. Gli elettori della provincia, infatti, sia nella scheda elettorale della Camera che in quella del Senato, il 25 settembre si ritroveranno sulla scheda nomi di “illustri sconosciuti”, politici sicuramente di valore e capacità, ma senza alcun legame col territorio, paracadutati appunto dall’alto, da chi ha compilato le liste a Roma.  Il fenomeno è bi-partisan. Alla Camera, infatti, il centro-destra ha piazzato nel collegio di Forlì-Cesena Gloria Saccani Jotti, medico e docente universitaria in Emilia, deputata uscente di Forza Italia (era candidata in Lombardia alle scorse elezioni). Idem al Senato: il collegio di Forlì-Cesena-Rimini per il centro sinistra sarà appannaggio di Simona Viola, avvocata milanese, una vita coi Radicali, esponente di +Europa.

Per chi vive un territorio può essere un boccone amaro sapere che il collegio che rappresenta  una terra, la sua gente e il suo sentire sia in verità poco più di una casella da riempire con un nome scelto dall’esterno e che ottiene una candidatura più o meno sicura a seconda dei rapporti di forze all’interno del proprio partito. Per capire queste dinamiche abbiamo sentito Marco Di Maio, per 9 anni deputato forlivese, che ha scelto di non ricandidarsi in queste ultime elezioni rifiutando di finire in listini fuori regione. Di Maio – gli viene riconosciuto da tutti gli schieramenti politici, anche quelli avversi – ha sempre mantenuto uno stretto contatto coi problemi locali. E’ tra gli artefici, per esempio, del sostegno alla riapertura dell’aeroporto a Forlì.

Di Maio, perché i partiti continuano a perpetuare una pratica poco amata dall’elettore qual è quella di paracadutare politici da fuori territorio?
"Perchè questo sistema elettorale, come tutti i precedenti, consente ai partiti di individuare dei meccanismi per tutelare alcune figure ritenute strategiche per una serie di motivi. E in base al grado di importanza assegnato personalità la cui elezione (o rielezione) va tutelata, si scelgono posizioni blindate, probabili, contendibili o perse. La riduzione del numero dei parlamentari, a cui non ha fatto seguito nessuno dei correttivi promessi dai promotori di questa riforma, ha accentuato il problema".

Piazzare un nome dall’esterno in un collegio uninominale, dove vale a dire vince in modo secco chi riporta più voti su un territorio ben definito come una provincia tutto sommato piccola come Forlì-Cesena, non è snaturare il concetto stesso di “collegio uninominale”?
"In parte lo è. Ma se il soggetto candidato fosse una persona di particolare caratura, potrebbe comunque assegnare un valore politico e dare un senso alla scelta. Si snatura completamente il concetto di collegio territoriale, invece, quando si catapultano persone sconosciute, che non hanno particolare rilievo e, soprattutto, hanno risibili legami con quel territorio. O quando si impongono dall'alto candidature, che magari sono legate a quella zona, ma non sono volute dai militanti del partito a cui appartengono. E' una forma diversa di 'paracadutismo', che però esiste e viene praticata".

Se la pratica viene mantenuta si vede che i partiti non ne sono particolarmente danneggiati. Il collegamento al territorio, l’attività politica pregressa che crea anche una base di consenso che va oltre alle bandiere di partito allora non servono?
"Servono soprattutto a chi lavora bene e con dedizione, perchè assicura il rispetto e la stima di tantissime persone, associazioni, organizzazioni e anche il voto in molti casi. Nel mio caso, ad esempio, senza questo lavoro nel 2018 non avrei vinto il collegio (e non sarei stato eletto, non avendo chiesto di essere "tutelato" in qualche listino) e lo dimostrano i molti risultati negativi ottenuti da candidati di centrosinistra nei collegi uninominali di zone vicine (Cesena, Rimini, Ferrara, Pesaro, ecc.). Se la domanda, però, è quanto contano nei partiti il consenso e il radicamento territoriale dei candidati nel compilare le liste elettorali, la risposta è chiara: nel caso di alcuni partiti non contano nulla; in generale, in tutti i partiti, contano poco. Con la riduzione del numero dei parlamentari, ancora meno".

I candidati paracadutati a Forlì-Cesena non si stanno neanche preoccupando di recuperare un rapporto col collegio a loro assegnato. Non mandano comunicati stampa, non incontrano rappresentanti economici, né si premurano di conoscere i problemi locali. Anche per loro, verrebbe da dire, Forlì è equivalente a Canicattì. Come mai tanto disinteresse a neanche un mese dal voto?
"Non sono stupito, anche se mi sarei aspettato che almeno provassero a salvare l'apparenza. Non sono stupito perchè nei corridoi di Montecitorio quando Conte, Salvini e Berlusconi hanno scelto di far cadere Draghi e il presidente Mattarella ha indetto le elezioni, il refrain era "Per i candidati la campagna finisce il 22 agosto". Cioè il giorno del deposito delle candidature. Perchè vi era (e vi è) la convinzione - a mio avviso sbagliata - che in questa campagna elettorale conteranno solo i messaggi nazionali e quel che si fa sul territorio non sposterà nulla. Dunque per gli aspiranti candidati il problema era piazzarsi nel posto giusto in lista (ovunque esso fosse, dalle Alpi al Mediterraneo) e non preoccuparsi di organizzare la raccolta di consenso. Perchè "Tanto a quello pensano i leader", si diceva. Un approccio che comprendo, rispetto, ma non condivido e che svilisce la funzione alta che un parlamentare può e deve svolgere per una comunità".

In una sua analisi recente, la società di sondaggi BiDiMedia ha spiegato che in verità votiamo il simbolo di partito o se ci convince il leader. Il candidato locale conta poco e solo in quei pochissimi casi dei cosiddetti collegi ‘toss-up’, quelli in massimo bilico. Ce ne sono pochissimi in Italia e uno è proprio quello di Forlì-Cesena. E’ così che funziona?
"Questa società, molto attiva e attenta ad analizzare queste elezioni, ha colto un punto vero. I candidati possono fare la differenza in positivo o in negativo. Il mio caso del 2018 e quello di altri (pochi, per la verità, dato che il centrosinistra vinse solo poco più di una ventina di collegi in tutta Italia) dimostrano che fare la differenza è possibile. Ora questa possibilità è più sfumata perchè il bacino territoriale di ogni collegio è più ampio, in ragione del minor numero di rappresentanti che dobbiamo eleggere in parlamento. Ma scegliere la persona giusta può fare ancora la differenza per il risultato di un partito".

Si può obiettare, però, che per fare una riforma sanitaria o fiscale conti poco se un parlamentare è di Forlì o di Milano, quanto invece che sia competente in materia. Il parlamentare rappresenta tutta l’Italia, viene controargomentato.
"E' indubitabilmente vero, ogni deputato e senatore rappresenta prioritariamente la nazione; ma in parlamento non servono solo competenze specifiche, è fondamentale la visione d'insieme e anche la capacità di rappresentanza delle diverse istanze territoriali. Avere una figura legata al territorio in cui è eletto, che lo frequenta, lo vive, lo conosce, può aiutare a cogliere delle opportunità altrimenti precluse. E in questi 9 anni e mezzo di lavoro, con amministratori comunali di ogni schieramento politico, abbiamo dimostrato che in molti casi si può fare la differenza in positivo".

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