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Fusioni di Comuni, Marco Di Maio: "Non un dogma, ma neppure un tabù"

Il deputato torna sulle ipotesi di fusione: prenderle in considerazione dove risulta utile e conveniente, non dire sì o no a prescindere. E nel frattempo far funzionare l'Unione

Affrontare il tema delle fusioni dei comuni senza partire prevenuti sul fatto che possano risolvere ogni problemi per una comunità e neppure che siano il male assoluto; prendere in considerazione dati, effetti, sinergie, economie di scala e poi, assieme alla popolazione interessata, decidere. E' la sintesi del ragionamento del deputato Marco Di Maio a proposito del dibattito sulle ipotesi di fondee alcuni comuni del nostro territorio. 

L'esponente della Commissione Affari costituzionali della Camera ricorda che la legislazione vigente "incentiva fortemente le fusioni grazie alle norme introdotte dal parlamento" e a quelle regionali, tanto che "l’unione di due comuni di 1200 e 4600 abitanti (come ad esempio Tredozio e Modigliana) produrrebbe in aggiunta alla somma dei due bilanci, un contributo annuo di circa 750mila euro per i prossimi dieci anni". 

Marco Di Maio ammette, però, che non è solo la questione economica quella da prendere in considerazione, ma bisogna valutare anche "le possibilità di mettere in campo sinergie, competenze e una programmazione comune che spesso è quella che manca". 

"Senza dubbio le fusioni non sono la panacea per ogni male - prosegue il deputato -; ma si esaminino le condizioni, si valutino gli effetti non solo economici, si costruisca un progetto di lungo periodo (che vada possibilmente oltre il mandato dei singoli amministratori in carica) e poi se ne discuta insieme ai cittadini, alle associazioni e alle imprese. Dall’ascolto delle diverse realtà si potrebbe scoprire, ad esempio, che ciò che vale per una vallata non è valido per un’altra e che fusioni in apparenza “scontate”, in realtà non avrebbero alcun effetto benefico per i cittadini di quei territori e viceversa". 

A chi sulle fusioni di Comuni obietta che farle significherebbe togliere l'identità ai territori, il parlamentare invita a "lasciare da parte la questione dell'identità, che non è certo data dai confini amministrativi, ma piuttosto dalle storie, dalle tradizioni che si rinnovano, dagli eventi, dalle botteghe e attività economiche, dalla gente che vive e lavora in un determinato luogo contribuendo a renderlo unico". Il ragionamento delle fusioni come qualsiasi altra scelta in ambito territoriale deve partire dall'interrogativo "su come riusciamo ad assicurare i servizi per assicurare che l'identità e la vitalità dei nostri paesi rimanga intatta e, se possibile, accresca ulteriormente". 

Anche a questo proposito ribadisce che mentre si comincia ad affrontare la questione delle fusioni, "è necessario far funzionare quello che già c’è: l'Unione dei Comuni" per la quale fa notare che "la quota maggiore di impegno e di generosità spetta al soggetto più grande, Forlì, la cui presenza assieme agli altri 14 Comuni del comprensorio si volle proprio per questo". 

E' l'Unione il luogo in cui "definire insieme alcune priorità (come, ad esempio, i collegamenti viari) e sostenerle in Provincia, in Regione o nel rapporto con le istituzioni nazionali". Un metodo di lavoro che "potrebbe dare risultati migliori rispetto alle singole azioni isolate". Insomma, solo "unendo le forze, si possano affrontare sfide e cambiamenti completamente differenti dal passato".  

Una sede istituzionale in cui "vale la pena studiare, approfondire, discutere insieme anche della questione delle fusioni, coinvolgendo direttamente tutti i soggetti e le realtà interessate. Lasciare l’argomento nel cassetto, sarebbe un errore". 

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