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Pirini (M5S): "Attenzione alla moda dei biodigestori"

Le campagne del nostro territorio stanno per assistere all’arrivo di una nuova moda definita ecologica e sostenibile. Passata l’epoca dei “campi solari” che ha cambiato per anni il panorama delle zone agricole locali, sta per iniziare l’epoca dei biodigestori.

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di ForlìToday

Le campagne del nostro territorio stanno per assistere all’arrivo di una nuova moda definita ecologica e sostenibile. Passata l’epoca dei “campi solari” che ha cambiato per anni il panorama delle zone agricole locali, sta per iniziare l’epoca dei biodigestori. Il biodigestore, in estrema sintesi, consiste in un grande contenitore stagno in cui viene introdotta sostanza organica di diversa origine (insilati vegetali o altro materiale organico) che, tramite una degradazione ad opera di batteri metanigeni anaerobici, (in assenza di ossigeno) viene trasformata in metano e compost. Il metano generato viene bruciato in motori che generano corrente elettrica o, in alternativa può essere immesso in rete. Questo tipo di impianto è estremamente redditizio in quanto è sostenuto da contributi definiti a seguito della Legge Finanziaria 2008 e 2009 per impianti alimentati a fonti rinnovabili.

 

Il limite di potenza 0,999 kW esenta questo tipo di impianti dalla VIA (valutazione di impatto ambientale) e consente di lucrare la immorale tariffa onnicomprensiva di 0,28 € per ogni kwh prodotto (6.713 € al giorno – oltre 2,450 Milioni €/anno). L’incentivazione viene mantenuta per 15 anni. Questo avviene anche nei casi in cui, per esempio, si parta bruciando solo scarti vegetali del posto e si finisca, poi, bruciando anche scarti animali o altri scarti provenienti da zone lontane. Il recente proliferare di richieste per realizzazioni di questo tipo di impianti nel nostro territorio rappresenta una novità. Che sia il risveglio di una coscienza ecologica sopita da anni, se non addirittura dimenticata o calpestata, da parte delle grandi imprese agricole e degli imprenditori locali? O più probabilmente rappresenta l’ennesima buona occasione per sviluppare una tecnologia per produrre energia in modo meno inquinante, ma che viene sfruttata con una modalità “all’italiana” da parte di attenti speculatori?

Fa riflettere che la presenza di questi impianti sia stata bandita dalle province di produzione del Parmigiano-Reggiano "graziate"  dal peso politico del Consorzio di Reggio Emilia. Il piano energetico regionale 2011-2013 prevede la realizzazione di centrali a biomasse per 600-750 MW, ma ovviamente non ci si fermerebbe qui e gli obiettivi al 2020 sono molto più ambiziosi. La prospettiva è che nel 2013 il 30% della superficie agricola sia destinato alle centrali e, escludendo le province del consorzio di produzione del Parmigiano Reggiano, immaginate voi in quale parte della Regione si concentreranno queste centinaia di impianti.

 

I progetti di questo tipo solitamente sono presentati dagli ingegneri come sistemi estremamente ecologici e ben funzionanti che non producono alcun tipo di disagio. Peccato che poi si scoprono, negli gli anni, diverse problematiche. Basti pensare al biodigestore di Medicina, in provincia di Bologna, che ha iniziato ad essere alimentato a mais (come presentato in progetto) per poi finire ad essere alimentato, negli anni successivi, a scarti animali con conseguenze sul territorio e sulla popolazione residente a dir poco inquietanti, come i cattivi odori, acri e spesso intollerabili, che impediscono ad alcuni dei residenti in zona di uscire di casa.

 

Allora forse è meglio porsi da subito la questione di quali problemi possano generare impianti di questo  tipo. Per esempio,  il biodigestore alimentato con 20.000 ton/anno di pollina, pari al 10% di tutta la pollina prodotta in Romagna in un anno, e 10.000 ton/anno di insilati di cereali come quello autorizzato a Caserma (RA) sul confine con Forlì che dovrebbe sorgere vicino al centro abitato (150m).  Il quale, verosimilmente, farà crollare il valore degli immobili della zona. Per la sua particolare posizione, poi, questo impianto riverserà i suoi effetti sull’adiacente territorio forlivese e nonostante questo, nessuno degli organi di governo della Provincia e del Comune di Forlì ha partecipato alle Conferenze di Servizi indette dalla Provincia di Ravenna il 7 giugno 2011 e il 20 dicembre 2011. Oppure l’impianto cha sta per essere autorizzato a Casemurate nel comune di Forlì, a 2 km da quello di Caserma e a 5 da quelli di S. Pietro in Campiano e Castiglione  di Cervia, che varrà alimentato esclusivamente da prodotti dedicati e non da scarti come sarebbe opportuno per giustificare la nascita del Biodigestore.

 

Si pensi poi al traffico su gomma che si genererà per alimentare tutti questi impianti in un territorio con una viabilità che mal si coniuga al traffico pesante. Il tutto, ovviamente, senza un’adeguata informazione della popolazione residente prima che queste autorizzazioni vengano concesse. Quelli appena citati sono solo alcuni delle decine di progetti di biodigestori in programmazione nelle province di Forlì e Ravenna.  La scarsa regolamentazione che si richiede per la realizzazione di impianti di piccola potenza (inferiore a 1 MW) rischia di creare verosimilmente situazioni di difficile convivenza degli impianti sia con il territorio sia con la popolazione residente, portando a  creare problemi e danni difficilmente reversibili come la svalutazione immobiliare, il traffico e l’inquinamento. Da ultimo, ma non per importanza, causerebbe un consumo del territorio intollerabile non più vocato alla produzione di cibo.

Sarebbe perciò auspicabile e di estremo buon senso che questi problemi venissero discussi, con la partecipazione della popolazione interessata, prima della realizzazione di simili progetti e non dopo. Allo stesso modo sarebbe fondamentale che il Comune di Forlì definisse un piano atto a regolamentare almeno il posizionamento  di questi impianti, in modo da garantire la salvaguardia del territorio e il benessere degli abitanti residenti nelle zone dove vengono edificati. Ponendo attenzione anche agli impianti costruiti in zone limitrofe ma con evidenti ricadute sul territorio e sulla popolazione forlivese. Il comune dovrà altresì sollecitare la Regione a porre dei limiti riguardo il numero, la portata, l'uso per autoconsumo e le modalità di costruzione. Definire regole certe che garantiscano l’alimentazione dei biodigestori con scarti vegetali a km zero e l’ubicazione in aree distanti da centri abitati sono dunque imprescindibili, in modo da far emergere, da un lato, gli imprenditori agricoli più attenti alla sostenibilità e al benessere del territorio in cui operano e respingendo, dall’altro, chi ha invece solo meri intenti speculativi.

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