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"Riconoscere finalmente il valore terapeutico di cura agito dalla presenza dei familiari"

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di ForlìToday

"Alcuni giorni fa la Consulta Comunale delle Famiglie ha pubblicato una lettera aperta al direttore sanitario dell'Ausl Romagna Mattia Altini e al sindaco Gian Luca Zattini "per favorire la cura delle persone fragili da parte dei propri familiari sia in ospedale che nelle strutture residenziali". L'appello congiunto delle Associazioni della Consulta, dietro cui ci sono famiglie che in questi ultimi due anni hanno vissuto sulla propria pelle il disagio dell'allontanamento dai propri cari, sembra essere caduto nel vuoto, mentre esige considerazione e risposta in tempi brevi perché ha toccato un nervo scoperto che ancora duole tremendamente e che non può essere ignorato o archiviato in fretta per il sopraggiungere di nuove emergenze, seppure drammatiche e urgenti.

Come Popolo della Famiglia sottoscriviamo in pieno le parole della lettera, così intrise di verità, perché raccontano il trascorso doloroso di tante famiglie di cui anche noi abbiamo ricevuto lo sfogo, strappate ai propri cari da regole incapaci di conciliare il rispetto dei protocolli con le dovute esigenze di umanità, di compassione e di cura fattiva da parte dei familiari verso i propri amati costretti al ricovero. Non si tratta di cercare le colpe, ma di riconoscere ciò che non ha funzionato perché non succeda più che protocolli e limitazioni imposti dall'alto creino un "dentro" e un "fuori" tra loro incomunicabili, o con limitatissime possibilità di interazione.  

I due anni di pandemia appena trascorsi hanno esasperato un equilibrio già fortemente precario nell'assistenza sanitaria per mancanza di organico e di personale, ma anziché considerare i familiari una risorsa fondamentale per supplire a tali mancanze, si è arrivati per legge ad escluderli dalla cura dei propri cari ricoverati in ospedale o nelle strutture residenziali, fino a raggiungere livelli di disumanità intollerabili per una società civile allorquando si è negato il conforto di un estremo saluto. C'è chi è passato direttamente dalla camera degli abbracci (soluzione di compromesso certamente lodevole ma insufficiente) alla camera ardente dopo aver ricevuto una fredda telefonata che informava del decesso del proprio familiare; nel mezzo, il buio di giorni trascorsi in totale solitudine per il paziente e in uno stato di angoscia per il familiare costretto a casa senza informazioni adeguate sulla salute del proprio caro.

In questi mesi abbiamo ricevuto diverse segnalazioni e testimonianze di persone divise dagli affetti più cari per una burocrazia assurda, ma è dopo la pubblicazione della lettera della Consulta che ci è arrivato il messaggio più drammatico da parte di un uomo che ha perso il padre senza che negli ultimi tre mesi potesse vederlo o avere sufficienti notizie sulla sua salute: "Vorrei gridare a tutti quanto mi è successo" ci ha scritto G.T. "Mio padre è morto come un cane nella solitudine della sua camera in casa di riposo, condannato da una burocrazia spietata, assurda e crudele. Lui dal Covid era eroicamente guarito, è morto negativo ma nessuno ci ha permesso di avvicinarlo per l'ultimo doveroso abbraccio. Alle 10 di sera una fredda telefonata ci ha informato che durante il giro di ispezione notturno lo avevano trovato morto. Io non lo vedevo da tre mesi".

Si richiama tanto a sproposito la dignità del morire, ma questa è la prima dignità che deve essere garantita. Per non parlare del brutale allontanamento delle persone ricoverate per urgenze in ospedale e della disperazione dei familiari esterni esclusi per giorni da ogni contatto, situazione tanto più drammatica quando il paziente è in condizione di disabilità. Con l'auspicato allentamento dello stato di emergenza al 31 marzo le cose devono cambiare: occorre che siano prese misure in grado di assicurare la dignità sia delle persone ricoverate, che vanno garantite nel bisogno primario della presenza dei loro familiari, tanto più se disabili, sia dei moribondi, che devono ricevere la carezza di una persona vicina per non morire più in totale solitudine come è avvenuto.

Ci auguriamo che il sindaco Zattini, quale responsabile della condizione di salute della popolazione del suo territorio, nella piena funzione del suo ruolo in ambito sanitario non lasci cadere l'appello della Consulta e apra quanto prima un tavolo di lavoro con l'Ausl Romagna, per formulare l'auspicato Protocollo di Intesa da applicare in tutti gli ospedali del Distretto Sanitario, onde riconoscere finalmente il valore terapeutico di cura agito dalla presenza dei familiari e delle persone affettivamente significative accanto ad ogni malato che richieda una assistenza parziale o continuativa. L'esperienza di questi ultimi anni ci ha insegnato che non dobbiamo più farci trovare impreparati. Affrontare altre emergenze sanitarie con gli stessi criteri di dis-organizzazione sarebbe davvero imperdonabile".

Popolo della Famiglia

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