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Samorì (PD): Barack Obama II: il rinnovato “percorso Obamiano”

Intervento della ricercatrice e consigliera comunale Sara Samorì sulla vittoria di Barack Obama alle elezioni americane del 2012

Mentre in Italia si consumano i cliché tipici, ridondanti, del “Monti” e “dopo Monti”, il popolo americano ha confermato la sua personale liaison con “Il Presidente”: Barack Obama. I brividi del dopo elezioni scorrono visibilmente sulla schiene di noi europei nell'assistere a una tale festa pubblica nazionale. Una lunga “storia d'amore”, quella tra il Presidente degli Stati Uniti con il suo popolo, che s'intreccia con quella storica, dell'America più profonda.

Una storia d'amore dentro una storia d'amore. Quello di un uomo per la sua donna. Quella delle minoranze sociali, delle donne, delle nuove generazioni, per un Presidente. Quella di un Presidente per il proprio paese. Quella di un paese per il proprio Presidente. Quella di un paese per la storia del proprio paese. Quello che si rimette in discussione. Periodicamente. Quelli che ci credono, sperano, tutt'ora avvolti in un mantella di sogni e ideali. Chi sceglie la testa. Chi sceglie il cuore. Quelli che, come tutti gli “amanti” (tra i quali, inevitabilmente, i delusi) il Presidente dovrà riconquistare.

Un'America spesso lacerata sotto le vesti di due modelli culturali, percorsi contrapposti, storicamente- come hanno ampiamente dimostrato queste elezioni e pure capace di “ricomporsi” dopo la battage, perché il leader repubblicano, Mitt Romney- peraltro orfano dei voti moderati- si è affrettato a dichiarare che «l'America ha bisogno di leader che dialoghino con gli avversari, nell’interesse del paese». Niente di più: niente recriminazioni, niente sfide, che da un lato lascia il Partito repubblicano nel vuoto in cui lo ha precipitato questa sconfitta, dall'altro riafferma un preciso richiamo all'unità del paese.

« E' tempo di national building», ha affermato il Presidente Obama, salito sul podio del McCormick Center di Chicago, subito dopo la conferma della rielezione alla Casa Bianca. Le idee della politica ritornano non per essere contemplate, né per essere meccanicamente riproposte. Ma proprio perché i cicli politici, come quello inauguratosi con la rielezione di Obama, hanno immediata influenza sulle nostre idee, i comportamenti, le culture e le aspirazioni, dovrebbero perlomeno costituire un monito per l'assemblea delle altre nazioni. In Italia, com'è stato scritto, e bene, dalle colonne di questo giornale, ha ricevuto un'accoglienza tiepida dai quartieri generali dei partiti, pure in odore di primarie interne. Eppure, il “percorso obamiano”, di una politica capace di trasformarsi, di costruire soluzioni, di proporre realizzazioni, alimenta nondimeno la linfa vitale dei cittadini rispetto alla sua versione più “pragmatica”: la capacità di emozionare. Perché capace di conquistare consenso, di restituire visioni, ideali, obiettivi e speranze. Investire sul futuro, creare lavoro, nuove opportunità.

La storia sembra ripetersi. Gli americani hanno fatto la loro scelta. "Ancora quattro anni". E noi? Ci soccorre, come spesso è accaduto in questi anni, la sapiente lungimiranza del nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che così ha commentato: «l’Italia impari
il senso d’identità dall’America». Forse è questa la chiave del nostro Risorgimento. Politico e culturale. Funzionerà solo se accettiamo la nostra responsabilità condivisa. Se abbandoniamo il cinismo e abbracciamo l'altruismo. Se, «onorando i sognatori»- parafrasando il Presidente Obama durante la Convention democratica- «crediamo in qualcosa che si chiama cittadinanza. Una parola che è al centro delle nostre basi, che è l'essenza della democrazia, l'idea che questo paese funziona quando ognuno accetta dei doveri verso le generazioni future».

Credo che anche gli italiani siano più grandi della somma delle proprie ambizioni individuali. C'è stato un tempo in cui la nostra storia, e il nostro popolo, lo ha testimoniato. Con la mente. Con il cuore.

Sara Samorì
Ricercatrice e consigliere comunale PD

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