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Dalla pandemia alla guerra: come aiutare bambini e ragazzi a comprendere. I consigli delle psicologhe

Ne abbiamo parlato con Francesca Pini, psicologa e psicoterapeuta familiare, e Marianna Zecca, psicologa, psicoterapeuta sistemico relazionale

Prima la pandemia da Covid-19, poi la guerra in Ucraina. Dai volti 'mascherati' alle drammatiche immagini dei profughi in fuga dalle bombe. Dal 2020 si sono susseguiti una serie di eventi che incidono sulla vita di ogni giorno. Si sommano le fatiche emotive, i timori, le paure. Per bambini e ragazzi questa situazione continua ad avere forti ripercussioni, emotive e psicologiche.

Ne abbiamo parlato con Francesca Pini, psicologa e psicoterapeuta familiare, e Marianna Zecca, psicologa, psicoterapeuta sistemico relazionale e mediatrice familiare (in formazione). Pini, che lavora privatamente nel suo studio a Forlì, si occupa di terapia individuale, di coppia e familiare, e collabora da 6 anni con Aisla (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) per la quale segue situazioni a domicilio nel territorio di Forlì e Cesena. Zecca si occupa di terapia individuale, di coppia e familiare e collabora con “Parole Diverse”, centro per la relazione d’aiuto a Forlì e con lo studio associato “Psicologia Facile-Psifa” di Cesena che, tra le tante attività, svolge quella di Polo clinico. 

Prima la pandemia, poi la guerra in Ucraina. Come stanno vivendo i ragazzi questa situazione?
In generale possiamo dire che questi eventi rischiano fortemente di creare un senso di insicurezza, instabilità e minaccia, andando ad influenzare la dimensione della progettualità futura. Se parliamo di ragazzi, cioè di adolescenti, dobbiamo pensare che già di per sé, si tratta di una fase di vita in cui conta molto il presente, ma inizia anche ad acquisire importanza il tema delle scelte, del futuro, del desiderio, di un progetto personale, per cui, se da una parte la pandemia, soprattutto in alcuni frangenti, ha determinato una sensazione di tempo sospeso, in cui anche il presente era difficile da vivere, ora la guerra rischia di offuscare la prospettiva futura, di far sentire ai ragazzi il timore di avere poco potere sulla propria vita e di essere continuamente in balia di eventi, decisioni, situazioni più grandi di loro.

Le emozioni che prevalgono sembrano essere preoccupazione e rabbia. Come aiutare bambini e ragazzi a gestirle e quali valvole di sfogo proporre?
La competenza emotiva non va data per scontata: quando si parla di emozioni la difficoltà più grande è quella di riconoscerle e riuscire a viverle senza farsi travolgere. Davanti alle emozioni dei figli, l’adulto è chiamato a fungere da contenitore e come tale è importante che sia preparato ad accoglierle e tradurle. Spesso i genitori si trovano in difficoltà su questo, ecco perché ultimamente stiamo dedicando maggior attenzione clinica, tramite gruppi dedicati, alle mamme e ai papà che desiderano confrontarsi e trovare nuove strategie mirate alla gestione delle emozioni proprie e dei propri figli. Le emozioni dei figli possono essere accolte assicurandosi, per esempio, di garantire loro la quotidianità, la propria routine, così come la continuità dei rituali e delle modalità affettive conosciute fino a quel momento. La famiglia e l’adulto di riferimento rimangono il porto sicuro di ogni bambino ed è importante per loro sentire che non sono soli. Strumenti che possono aiutare i bambini ma anche i ragazzi a comprendere ed accettare meglio le proprie emozioni possono essere per esempio la ricerca di stimolazioni tramite la lettura di libri, il racconto di storie e metafore che possano far comprendere lo stato d’animo altrui e stimolino il rispecchiamento o far sentire, ancora, la presenza di adulti competenti nella scelta della soluzione migliore per rispondere alle necessità del figlio, grazie alla disponibilità incondizionata all’ascolto.

I ragazzi hanno bisogno di comprendere, magari i più grandi anche cercando informazioni in rete e in tv. Come gestire per coloro che hanno libero accesso ai dispositivi digitali, questo flusso continuo di informazioni ed immagini?
Da un punto di vista di capacità cognitive, in riferimento ai ragazzi più grandi, possiamo dire che da un lato non sono ancora adulti ma dall’altro hanno già la capacità di comprendere le informazioni che riguardano il mondo dell’adultità. Un aiuto possibile da parte dell’adulto potrebbe essere quello di sottolineare l’importanza delle fonti da cui si attingono le informazioni, educandoli così a capire che fa la differenza da chi e come arrivano le notizie, sviluppando in loro la capacità critica utile a ridurre il disorientamento che deriva dall’enorme mole di informazione disponibili sul web. L’adulto può accompagnare il proprio figlio nella riflessione dei contenuti delle informazioni a cui ha accesso e può, allo stesso modo, aiutarlo ad acuire la capacità di filtrare, discutendo e ragionando su di esse, quelle più consone alla realtà delle cose. Non va dimenticato poi che la maggior parte degli stimoli che arriva ai ragazzi, proviene spesso da applicazioni in cui si susseguono video ed immagini senza filtro, senza interpretazione o spiegazione, senza che ci sia una storia, un prima e un dopo, ed è proprio qui che è importante il contributo dell'adulto, che potrebbe aiutare a rielaborare quel materiale disomogeneo, arrivando a dargli una cornice, creando un racconto.

E per i più piccoli che magari vedono la televisione insieme ai genitori?
Ogni fascia di età ha le sue peculiarità: sullo sviluppo cognitivo dei più piccoli e sulla loro capacità di comprendere quel che vedono, va detto che è in loro presente esclusivamente la capacità di pensiero concreto, faticano quindi a contestualizzare ciò che vedono perciò prima dei sette/otto anni sarebbe meglio non esporre i bambini a immagini cruente, anche se alla presenza di un adulto. I bambini molto piccoli inoltre non hanno la capacità di comprendere ciò che accade nel mondo fuori poiché la loro competenza è ristretta a ciò che succede nel mondo vicino a loro, a ciò che possono toccare con mano. Il rischio potrebbe essere quello di sentirsi inondati da informazioni ed immagini che non si riescono a comprendere ed a “digerire” e questo può creare in loro disagio fino ad arrivare a sviluppare stati d’ansia. I bambini in questo momento di incertezza e preoccupazione hanno bisogno di ritrovare un po' di quella serenità perduta e comunque pagata a caro prezzo dall’inizio della pandemia. Ai continui messaggi che raccontano della guerra vanno accompagnati anche quelli di speranza per una possibile pace ritrovata. Diverse sono le iniziative solidali apertesi in favore dei cittadini ucraini: permettere loro di parteciparvi e dare il proprio contributo offre da un lato, la possibilità di ridurre il senso di impotenza rendendoli così protagonisti attivi dall’altro, accende l’idea che il bene è una scelta che ognuno di noi può fare.

Ha fatto scalpore ad esempio l’immagine della bambina ucraina che imbraccia il fucile mentre mangia un lecca lecca. Che messaggio arriva ai ragazzi da foto come queste?
Purtroppo questa è diventata una foto simbolo della guerra in Ucraina e, anche se è stata una foto costruita volontariamente dal fotografo stesso, ha un forte impatto emotivo perchè ci parla di un'infanzia negata, di un coinvolgimento attivo dei bambini nella resistenza, di come tutte le piccole cose normali per i nostri bambini, per quei bambini non esistano più. Un altro aspetto controverso che crediamo possa colpire molto i ragazzi è legato al fatto che la bambina della foto sembra un soldato addestrato, ha uno sguardo fiero, quasi di sfida, per nulla terrorizzato, come se fosse una cosa normale che una bambina di 9 anni si trovi in quella situazione, che una guerra dove anche i bambini sono chiamati a combattere sia normale...ecco, questa foto non solo può mostrare il lato più terribile e disumano della guerra, ma allo stesso modo può suggerire che questo faccia parte della resistenza al male, quando invece è proprio il segnale più grave di quel male.

Dalla guerra virus alla guerra vera e propria, sono stati anni di richiamo al concetto del conflitto su vari fronti. Che linguaggio è meglio usare in famiglia per toccare questi temi?
La carta costitutiva dei diritti dell’infanzia ci dice che “il bambino ha sempre diritto alla verità”. Detto questo, è giusto ricordarsi che il tema del conflitto non è un tema nuovo, è qualcosa che ha sempre caratterizzato, in forme diverse la vita di tutti noi. Anche nella comunicazione e nella gestione di questi temi è bene tener presente l’età del proprio figlio ed il grado di interesse manifestato rispetto all’argomento poiché se da un lato, è giusto che arrivi il messaggio che è normale che certi temi facciano parte della vita e che prima o poi debbano essere affrontati, dall’altro l’adulto non dovrebbe sentirsi costretto ad introdurre il bambino all’argomento se quest’ultimo, dal canto suo, non mostra interesse. Diverso è il discorso se si tratta di ragazzi più grandi: un possibile approccio potrebbe essere quello di sincerarsi del fatto che abbiano o meno piacere di parlare di quello che hanno sentito, dando così la propria disponibilità all’ascolto relativamente a possibili dubbi o eventuali preoccupazioni. In generale il linguaggio più giusto si traduce nella ricerca di parole adeguate e che non urtino la sensibilità di chi le riceve, bisogna riuscire nel difficile compito di raccontare solo ciò che loro sono disposti a sapere.

La scuola che ruolo può avere nell’aiutare a comprendere cosa sta accadendo?
Gli insegnati così come i genitori devono accompagnare la curiosità e la necessità che un bambino così come un ragazzo, può avere nel comprendere quello che sta succedendo. Non sarebbe sbagliato, soprattutto se parliamo di bambini, fare un passaggio prima con i genitori per comunicare l’intenzione di introdurre l’argomento e magari spiegare anche le modalità e gli strumenti utilizzati per permettere, agli stessi genitori, di sciogliere eventuali dubbi o domande portate a casa. È vero che non si può tenere i ragazzi in una bolla, lontani da ciò che può spaventare e che l’adulto non deve sottrarsi alla funzione educativa che è chiamato a svolgere, ma è anche vero che lo stesso insegnante deve avere l’accortezza di scegliere la modalità, i toni, i contenuti e le parole più consone a tal fine.

Che responsabilità ha il mondo dell’informazione nei confronti dei giovani?
Il mondo dell'informazione ha grandi responsabilità verso tutti, ma in modo particolare verso i giovani, che come abbiamo già detto sono esposti ad una grande quantità di stimoli attraverso la rete. Purtroppo i giovani si trovano bersagliati da video, immagini, suoni che ritraggono la guerra ora per ora, a volte quasi in diretta, senza un filtro, senza la mediazione di una riflessione consapevole, per non parlare poi del rischio frequente di imbattersi in fake news; ecco perchè chi si occupa di informazione, nel suo significato più vasto, dovrebbe sempre tener presente l’importanza di dare informazioni complete, il più possibile chiare, coerenti, imparziali, non allarmiste. Andrebbe posta poi molta attenzione all'utilizzo delle immagini, che, se da una parte sono parte integrante e fondamentale dell'informazione, dall'altra però spesso diventano una spettacolarizzazione del dolore e della violenza. È necessario aiutare i giovani a conoscere, comprendere e interpretare la drammaticità della guerra lavorando anche sui valori di ragione, tolleranza, solidarietà, comunicazione, mediazione e trasmettendo anche messaggi di fiducia e di speranza.

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