"Ritrovai la Danzatrice con il dito al mento di Canova in un angolo di una banca"
Dopo aver letto l’articolo pubblicato da Umberto Pasqui, che ripercorreva, piuttosto sommariamente, le vicende della Danzatrice con il dito al mento a suo tempo acquistata dal forlivese di adozione Domenico Manzoni, penso sia necessario fare alcuni approfondimenti. Sì, in effetti, dopo la morte del Manzoni, a seguito di difficoltà economiche, la vedova dovette mettere in vendita la statua canoviana, e non ebbe difficoltà nel trovare interessanti potenziali acquirenti. Tra questi ebbe la meglio il conte Nicolay Dmitrievich Guriev, ambasciatore russo a Roma, che acquistò dalla vedova Manzoni il marmo nel 1830. Il conte e sua moglie Marina Narykina avevano avuto modo di vedere ed apprezzare l’opera quando questa era ancora nello studio del maestro.
Particolarmente La Danzatrice con il dito al mento aveva ottenuto grande successo tra il pubblico facoltoso, si pensi che il principe Alessandro Raffaele Torlonia, si dice legato da una segreta liaison con la Narykina, per ricordare l’amata facesse realizzare dallo scultore Luigi Bienaimé una copia della statua, ora conservata a Palazzo Corsini, a Roma. I Guriev rientrarono quindi in Russia, a San Pietroburgo portando con sé la tanto desiderata statua. Il conte Guriev morì nel 1849, della statua si hanno quindi notizie nel 1857, quando la vedova la propose in vendita all’Ermitage. La proposta fu rifiutata motivando così la decisione «All’’Ermitage si trovano ormai quattro opere di quest’artista, le quali, come anche la statua offerta, sono più adatte ad ornare le sale del palazzo che all’arricchimento della nostra collezione, ormai ricca di opere moderne, e bisognosa piuttosto di opere antiche» (E. Karcheva S. O. Androsov, La Collezione di scultura moderna di Nicola I al Museo Ermitage, in M. Bertozzi, Omaggio al nuovo Ermitage, p. 38 ).
Così la Direzione dell’Ermitage giudicava l’opera di Canova a trentacinque anni dalla morte del maestro. Si persero quindi le tracce di una delle più affascinanti opere canoviane. Fu il professor Enzo Borsellino, ricercatore presso il Dipartimento di Studi Storico Artistici dell’Università' di Roma, a ritrovare la Danzatrice nella Stazione Telefonica su via Bolshaya Morskaya Ulitza, a due passi dall’Ermitage, durante un suo viaggio a San Pietroburgo; della scoperta il docente scrisse poi sull’Inserto della Domenica del Sole 24 Ore del 12 ottobre 1997. Purtroppo lo stato di conservazione della Danzatrice con il dito al mento non era dei migliori. La statua presentava una grande crepa orizzontale al di sopra delle ginocchia e altre crepe sul collo e sul mento malamente stuccate, certo frutto di una brutta e grave caduta subita dalla statua in un tempo imprecisato. In compenso, nonostante queste fratture ed ai normali depositi di sporco e polvere, presentava una compattezza e lucentezza straordinarie, la patina originale, quella data dallo stesso artista con cere o colori o lavando le sculture finite con l'acqua servita per arrotare gli scalpelli e gli altri ferri del mestiere.
Che la scultura dell’androne della Stazione Telefonica di San Pietroburgo sia la Danzatrice Manzoni-Guriev è comunque avvalorato dalla grande finezza con cui è trattato il marmo e dall’efficace illusione del sottilissimo velo che copre le gambe della figura, effetto già usato da Canova nella Danzatrice con le mani ai fianchi, anch'essa oggi a San Pietroburgo, ma nel museo dell'Ermitage. Anche i particolari del tronco d'albero su cui poggia la statua ricordano quelli identici del tronco delle Tre Grazie dell’Ermitage, così come le ciocche dei capelli sono della stessa finezza di quelle delle altre figure femminili autografe del grande artista di Possagno. Il docente romano informò della scoperta importanti storici dell’arte quali Hugh Honour, Avar Gonzalez Palacios ed altri massimi studiosi massimi del Canova che in un primo momento gli furono vicini e solidali. Poi, però, in occasione di un viaggio in Russia, Honour incontrò Sergey Androsov, al tempo curatore della sezione di scultura occidentale dell’Ermitage; lo studioso inglese ebbe quindi un ripensamento, fu convinto da Androsov che il marmo della Danzatrice di Pietroburgo provenisse da una cava russa (senza fare alcuna prova petrografica, che lo studioso romano aveva sollecitato). Da allora tutto è fermo e irrisolto. Non si sa se la prova sia stata fatta, e soprattutto non se ne conosce l'eventuale esito.
La notizia della scoperta non destò alcun effetto nella nostra provinciale Forlì, solo la grande anima del notissimo dottor Vittorio Mezzomonaco, giornalista, bibliotecario, ma soprattutto amante spassionato dell’Arte, della Cultura e della nostra città, s’infiammò e ne scrisse sui fogli locali. Pure io ne fui emozionato e m’impegnai a saperne di più parlando con l’amico Mezzomonaco e lo stesso Borsellino. Quando nel 2009 fu organizzata la mostra su Canova ai Musei San Domenico, mi parve l’occasione ideale per riprendere e sviluppare la ricerca sulla Danzatrice che avemmo l’onore di ospitare nella nostra città; mi permisi quindi, ma senza alcun risultato, di invitare gli organizzatori a richiedere a chi spetta il prestito pure di questo marmo. Sarebbe stata la grande occasione per eseguire su di essa l’esame petrografico per verificare se il marmo provenisse dalle cave di Carrara, di metterla a confronto con il relativo calco conservato a Possagno; prove inconfutabili per determinarla di mano del nostro scultore. Ma anche quest’occasione è andata perduta.
Decisi allora di andare a San Pietroburgo per poterla osservare io stesso; e così feci nell’agosto dello stesso anno. Giunto sul posto, seguendo le indicazioni fornitemi dal professor Borsellino, mi recai in quella che ora è una banca. Entrato, ho trovato la Danzatrice in un’angusta nicchia, poco illuminata, rivestita di marmo grigio, chiusa da una balaustra di ferro battuto. Nella stessa nicchia a contorno della sfortunata statua erano deposti un cono segnaletico da cantiere, una poltrona dismessa (forse per la danzatrice qualora si fosse stancata di stare in piedi!) ed altri accessori per la pulizia dei pavimenti. Non senza emozione sono rimasto a contemplarla; ho scorso con lo sguardo la superficie del marmo ritrovando lo splendore originale, anche se offuscato dalla pellicola di polveri e grassi che nel tempo si sono depositati su di essa. Tutto ciò però ha fatto sì che si conservasse la patina originale.
Il tempo e gli eventi traumatici hanno segnato duramente il marmo, ma non ne hanno assolutamente minato lo splendore, la grazia. Risvegliando dal torpore che li avvolgeva sino allora, seduti nelle loro comode sedie all’ingresso della sala sportelli, due vigilantes hanno mostrato una reazione, subito placati dall’interprete che mi accompagnava, quando ho accarezzato, come Ugo Foscolo fece a suo tempo con la Venere italica dello stesso autore, il braccio della Danzatrice per costatarne la sublime levigatezza. Ciò che ho visto, e che ho toccato con mano, mi ha ancor più convinto di ciò che ipotizzava il professor Borsellino; la danzatrice, di cui allego alcune foto da me scattate, dimenticata in quel tetro luogo è la nostra Danzatrice, speriamo che in un prossimo futuro qualche mente illuminata si attivi per riscoprirla, assegnarle la giusta attribuzione, e onorevole sistemazione nel nostro prestigioso museo forlivese.
Alvaro Lucchi