Alluvione, ferite ancora aperte in città: "Fiumi ancora da pulire e incapacità di gestire le donazioni"
Pubblichiamo la riflessione sull'alluvione di una nostra lettrice: Vorrei chiedere un time out, come succede nelle partite di basket, quando si decide di interrompere il gioco per cambiare strategia. Vorrei che per un attimo tutti ci fermassimo a riflettere su quanto sta accadendo. La notte del 16 maggio è lontana tre mesi, per la maggior parte dei forlivesi (per fortuna) non ha lasciato conseguenze nell'immediato, per una minoranza continua ad essere viva, non solo nei ricordi, ma anche nella vita di tutti i giorni, con nuovi problemi, nuove soluzioni, nuovi progetti. E mentre questo numero ristretto di persone si affanna per trovare sguardi alternativi con cui fissare l'orizzonte, intorno a loro sembra ergersi un muro di plexiglass: trasparente, perché la realtà è evidente, è visibile, ma sempre muro è. Separa, divide. Nulla è più pericoloso di un muro. Nulla è più pericoloso di un muro all'interno di una società, all'interno di una comunità.
È un muro che non si vede: è creato dalla scelta di comunicare con la popolazione attraverso i social, relegando in una posizione ancora più difficile i fragili, gli anziani, quelli che facebook non lo frequentano perché preferiscono vedersi al bar o incontrarsi al mercato. Così succede che quando arriva l'allarme giallo per un nuovo temporale, pochi giorni dopo l'alluvione, loro nemmeno lo sappiano. Ma forse è meglio così, perché i settantenni che sono stati avvisati da qualche giovane, vicino di casa, della possibilità di ritirare i sacchi di sabbia nei punti di raccolta, per premunirsi da una eventuale nuova ondata di fango (per fortuna non arrivata), si sono anche chiesti se non fosse stata più ragionevole una distribuzione presso le case...in fondo, rimasti senza auto, piegati dalla fatica di spalare per giorni...
È il muro della sorprendente incapacità di gestire le donazioni. Se una madre ha 5 figli, di età diverse, con esigenze diverse, sa come ripartire il suo stipendio tra un bambino di tre anni e uno studente universitario...le famiglie alluvionate sono state censite, hanno presentato tutte richiesta di rimborso, ed è facilmente identificabile il danno subito: chi ha rimasto solo muri bagnati è individuabile senza nessuna difficoltà... È il muro dell'amarezza e della delusione, di quando si sente la proposta di trasformare l'ex Eridania (quartiere San Benedetto), in una discoteca, per evitare che i propri figli rischino la vita nel ritorno notturno dai locali della riviera...e allora ti rendi conto di essere troppo diversa, forse sbagliata. Perché ti metti nei panni di chi vive a pochi metri dall'Eridania, che ancora non ha finito di togliere il fango dal cortile. E poi...come genitore...ti chiedi come si possa legittimare lo stordimento del sabato sera dei propri figli...
E quando ti arriva, tra le tante storie che ogni giorno incontri, anche quella di una giovane donna che sta combattendo la propria lotta contro il cancro, e che è stata alluvionata, portata via dai soccorritori appena in tempo per vedere la sua casa sepolta dal fango, mentre si allontanava...ti senti inutile, impotente, ti chiedi se stai facendo davvero del tuo meglio... Beato chi non è stato toccato né dall'alluvione, né dal cancro. Ma le frane sulle nostre colline sono lì, le piogge di settembre non tarderanno ad arrivare, i fiumi sono ancora da pulire. Non servono riunioni o incontri, né parole e strette di mano. C'è bisogno di agire, al più presto. Come dice Miccoli, "la natura non aspetta la politica"...e nemmeno le ferie estive... Il time out non può durare oltre una manciata di secondi.
Lucia Bedei