Lavoro, il caldo e quell'aria condizionata mai accesa: "Stanca che ogni diritto passi come un capriccio"
Questo il contenuto di una lettera sfogo di una lettrice
“Ciao Gio! Da quanto tempo…finalmente siamo riuscite a beccarci. Come stai? Ti vedo un po’ stravolta…” “Perdonami Fede. Sono appena uscita da lavoro e, come sai, teniamo l’aria spenta…” Queste due righe sono ormai l’incipit standard di come si aprono le conversazioni tra me e la mia amica Giovanna le volte in cui ci ritroviamo per bere qualcosa insieme e scambiare due chiacchiere. Giovanna fa la barista, io invece lavoro in una gelateria durante la stagione estiva per mantenermi gli studi. Per via dell’attuale precarietà lavorativa, entrambe molto spesso cambiamo posto di lavoro, pertanto è normale per noi due, quando ci incontriamo, aggiornarci sui relativi cambiamenti in merito al lavoro e raccontarci come va. Da maggio a questa parte una ventina abbondante di minuti delle nostre chiacchiere è dedicata a “il caldo che fa a lavoro”.
Sia dove lavora lei che dove lavoro io. “Da me non vogliono accendere l’aria. Mi sento svenire di continuo. Non ne posso più. Arrivo lì già con l’angoscia di quello che dovrò patire ed esco che sono distrutta, con la pancia gonfissima, la pressione sotto i piedi e i panni zuppi di sudore. Hai qualche integratore da consigliarmi per tirarmi un po’ su?” Ora, io non ho la pretesa che a 25 anni, quando mi vedo con una amica per l’aperitivo, per forza, data la giovane età (che, nell’immaginario di molti titolari, corrisponde a energie e salute infinite, quindi, se anche passi 6 ore a 30 gradi, cosa vuoi che sia), a tutti i costi si parli solo di “sesso, droga e rock’n’roll”. Tuttavia, inizia a starmi decisamente stretto che ci ritroviamo a confortarci a vicenda del tipo “settimana prossima hanno messo pioggia…speriamo…così magari respiriamo un po’”. Sono certa che qualcuno che in questo momento sta leggendo queste righe (magari davanti al ventilatore…) stia pensando “che dramma...quanto la tira per le lunghe”. Ebbene sì: ho intenzione di tirarla lunga perché ho constatato, sulla mia pelle, che tirarla per le corte spesso non serve proprio a niente. La tiro per le lunghe per tutti quelli che come me e Giovanna svolgono un qualche lavoro nell’ambito della ristorazione (l’ambito dove, nello specifico, ho esperienza io, ma il mio sostegno è chiaramente rivolto a chiunque si trovi nella nostra stessa situazione) e per sei, otto e spesso anche più ore sono costretti a lavorare in condizioni climatiche pietose perché il titolare non vuole accendere l’aria condizionata.
Ne approfitto per una comunicazione di servizio: mi rivolgo a chi avesse eventualmente intenzione di commentare dicendo “Dì grazie che hai un lavoro tu”. A costoro dico già qui che non si offendano se non riceveranno risposta da parte mia al loro commento, per il semplice fatto che se lo facessi poi sarei perseguibile per ingiuria. E adesso mi rivolgo a te, titolare di una qualche attività dove accogli clientela e che disponi di personale alle tue dipendenze. Se anche non te ne frega un accidente delle mie condizioni di salute (per carità, nemmeno io ambisco alla santità, anche solo per il semplice fatto che requisito imprescindibile è, prima di tutto, essere morti…) faccio appello all’unica ragione che sembri intendere: il tuo portafoglio. Ti invito a ragionare con me. Sei titolare di, che so, un bar o una gelateria, ovvero di un luogo dove, in media, le persone vengono, se non proprio per divertirsi, per stare bene, per ritagliarsi un attimo piacevole nel tran tran quotidiano, per farsi una coccola insomma. Carichi di questa aspettativa, entrano (illusi) nel tuo locale e, sgomenti, si rendono conto di essere finiti invece dentro un forno. Questo li fa innervosire, più di quanto magari già non fossero, e questo a sua volta li porterà eventualmente a rivolgersi alla ragazza in turno visibilmente (e a ragione!) irritati, non pensando che la suddetta ragazza che li servirà sarà almeno almeno doppiamente irritata perché lei, in quel forno, ci passa, come minimo, sei ore al giorno, sei giorni su sette.
Al di là dell’atteggiamento innervosito della ragazza (solitamente gentile e disponibile, perché, in sé e per sé, il lavoro nemmeno le dispiace, però alti livelli di cortisolo fanno passare la cordialità a chiunque, diciamocelo), il sudore che le cola dalla fronte (magari a condimento del caffè del cliente...quando si dice “l’ingrediente segreto”…), il trucco sbavato, le ascelle pezzate (che magari emanano persino un aroma che, ecco, non ricorda esattamente quello di bouquet di rose) concorrono a delineare un quadro che difficilmente potrebbe essere intitolato “il ritratto dell’ospitalità”. E va bene, titolare che mi stai leggendo e che ti senti tirato in causa, per una volta la tiro corta: quel cliente tu non lo rivedi più. Moltiplicalo per x clienti che in media ricevi nel tuo locale e adesso tira le somme di quanti soldi in tasca in più davvero ti ritrovi per il fatto di aver tenuta spenta l’aria condizionata. Spesso a me e ai miei colleghi ci riprendi dicendo “voi siete il biglietto da visita del mio locale” e hai ben ragione: il cliente infatti quando entra è decisamente confuso perché non capisce se è entrato in un bar o in una spa con sauna. Ora, metterò per un attimo da parte ironia, sarcasmo e rabbia (anche questa emozione fa alzare la temperatura corporea…non ne usciamo proprio…), emozioni e atteggiamenti che non intendo affatto reprimere, come è facile desumere dalle righe scritte fin qui, perché io, nelle lotte fatte “mantenendo la calma”, con toni pacati, non ci ho mai creduto e ho sempre pensato che chi si batte per i suoi valori mantenendo la calma, dopotutto, non ci crede veramente, perché le battaglie sono da farsi con il cuore in fiamme.
Dicevo, deponendo le armi per un piccolo istante, caro titolare, ti chiedo (no, non umilmente, ma dignitosamente sì) di non mettermi a tutti i costi nell’imbarazzo e nella noia di dover contattare l’ispettorato del lavoro (anche se temo che riuscirei a prendere la linea a ridosso del solstizio d’inverno…al che…avresti vinto tu, poco gloriosamente, a tavolino) per mandarti un controllo e farti una multa. Perché sono convinta che sia una cosa, in fin dei conti, spiacevole per entrambi: per te perché spendi altri soldi (il tuo gruzzoletto messo via nel porcellino grazie ai tagli sull’aria condizionata, ci pensi?!) e per me perché perdo il lavoro (ok, che non è di certo il lavoro della mia vita, siamo d’accordo, intanto però mi serve e, nelle giuste condizioni, lo faccio dando il meglio che posso, come tutti gli impegni che prendo, del resto). Perché, intanto, lo sapresti perfettamente che sono io la rompiballe, dal momento che gli altri stanno tutti zitti a schiumare in silenzio (no ragazze, mi dispiace, ma non bruciate più calorie così). Ci tengo a precisare che sto scrivendo queste righe mica tanto a cuor leggero, perché io, per il momento, i soldi non li stacco dagli alberi ma me li devo guadagnare lavorando, quindi, se la conseguenza della stesura e della divulgazione di questi pensieri dovesse essere la perdita del posto di lavoro (che poi, avendo un contratto a chiamata, nemmeno sarebbe ritenuta tale: il datore di lavoro potrebbe, molto semplicemente, smettere di chiamarmi...), non mi troverei nella più rosea delle condizioni.
Tuttavia, sono sempre stata profondamente affascinata dalla figura di Cyrano de Bergerac di Rostand, in particolare dalla scena in cui Cyrano rimane al verde per risarcire il patrocinatore di uno spettacolo che lui boicotta per dire, come sempre, la sua. “In che modo vivrai adesso?”, gli domanda l’amico Le Bret, e Cyrano risponde “Assai modesto”; Le Bret, di rimando: “Buttar la propria borsa è da pazzi”. “Ma che gesto!”, ribatte Cyrano cuore e occhi come tizzoni ardenti. E quindi sì: pur di sentir anche io quel fuoco che solo ciò che ti appassiona, proprio nel senso originario del termine passione come patimento, sono disposta a “buttar la mia borsa”. Anche se ho solo 25 anni, ho già lavorato in tanti posti e questa non è affatto la prima volta che mi imbatto in una situazione del genere. Non sono mai stata una dipendente piantagrane, di quelle che pretende chissà cosa sul posto di lavoro e che per un nonnulla ricorre al sindacato.
Ad oggi, però, ammetto che forse avrei dovuto esserlo di più. Perché, come afferma saggiamente Giorgia Meloni nel suo libro, nella società in cui viviamo “ogni desiderio diventa un diritto, persino ogni capriccio, e di contro è sparito qualsiasi richiamo alla responsabilità” ed io sono davvero stanca che, al contrario, ogni mio diritto passi come un capriccio. Sarò sincera, avevo persino in mente di chiedere a un amico di fare una cattiva recensione del locale lamentando del caldo insopportabile, ma poi ho capito che questo, se anche avesse portato a qualcosa di buono, non mi avrebbe soddisfatta , men che meno, mi avrebbe fatto sentire fiera di me: perché io, nelle mie battaglie, piccole o grandi che siano, voglio metterci la faccia. Anche nelle cause più disperate, di quelle che dai già per perse fin dalla partenza. Forse, soprattutto in quelle. Cari colleghi e care colleghe che condividete la mia stessa condizione sul posto di lavoro, io ci sto provando e spero, nel mio piccolo, di apportare qualche beneficio anche a voi. Nel caso non dovessi riuscirci, fatevi coraggio: in fin dei conti, come è stato detto a me, manca solo un mese all’autunno".