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Il lutto

Vinse il Giro di Romagna nel 2001, un incidente spezza la vita a Davide Rebellin. "Il destino è davvero crudele"

Nel suo curriculum di successi poteva vantare la vittoria anche nel Giro di Romagna nel 2001

Anche la Romagna del ciclismo è in lutto per la scomparsa di Davide Rebellin, l'ex campione morto in un incidente stradale nel vicentino allì'età di 51 anni. Rebellin era in sella alla bici, quando è stato urtato e travolto da un camion, nei pressi dello svincolo autostradale di Montebello Vicentino. Il camionista non si sarebbe accorto dell'incidente, proseguendo la sua corsa. Rebellin aveva vinto in carriera, tra l'altro, una Amstel Gold Race, tre edizioni della Freccia Vallone, ed una tappa del Giro d'Italia. Argento ai Giochi di Pechino, la medaglia gli fu poi revocata per una positivita' al doping. Una vicenda controversa, per la quale poi era stato assolto dal Tribunale di Padova sette anni dopo. Rebellin aveva sempre rivendicato la propria innocenza. Nel suo curriculum di successi poteva vantare anche la vittoria nel Giro di Romagna nel 2001, precedendo sul traguardo di Lugo dopo 195,5 chilometri di gara Daniele Nardello (Mapei-Quick Step) e Ruggero Borghi (Tacconi Sport-Vini Caldirola). Una gara particolarmente dura, con passaggio anche a Forlì, Castrocaro e Dovadola e che prevedeva per quattro volte la scalata del Monte Trebbio. 

"Aveva appena smesso - esordisce su Facebook un commosso Davide Cassani, ex ct della Nazionale, voce Rai ed attuale presidente di Apt Servizi Emilia Romagna -. Aveva detto che avrebbe avuto ancora la forza per correre ma che a 51 anni gli sembrava decoroso appendere la bici al chiodo. Non ne ha avuto il tempo.  Mi viene da dire: ma se davvero avesse, almeno per qualche mese, appeso la bici al chiodo ora non saremmo qui a piangerlo. Leggere pochi minuti fa della scomparsa di Davide Rebellin mi ha gettato nella tristezza più totale. Perché lui era la passione per il ciclismo fatta a persona, lui era un ragazzo buono, gentile, silenzioso che a dispetto di tutto e tutti faceva quello che piu amava, correre in bicicletta".

"Era passato professionista lo stesso giorno di Marco Pantani, ad agosto del 1992 correndo il GP di Camaiore per chiudere la sua lunghissima carriera appena un mese fa. Non l’ho mai visto arrabbiato, mai una volta in cui abbia alzato la voce, mai - ricorda ancora -. Per lui la vita era correre, non ho mai visto un professionista più professionale di lui. Ed ora sono qui a piangere la sua memoria  la sua bontà, la sua resistenza e la sua capacità di essere atleta per una vita intera. Mi verrebbe da dire che è morto da eroe, che è morto esattamente la dove aveva cominciato a vivere la sua seconda vita. Ma un camion gli ha tolto questa opportunità e non ci resta che piangere ancora una volta, uno di noi. Il destino è davvero crudele".

Un incidente, ricorda l'Asaps, che sembra la fotocopia di quello in cui morì nel 2017 Michele Scarponi. "La scia di sangue sulle strade - commenta il presidente Giordano Biserni - purtroppo continua, con una particolare crudeltà anche per i ciclisti". Secondo i dati forniti dall'Associazione sostenitori Polstrada (Asaps), sono stati 103 i ciclisti che hanno perso la vita sulle strade italiane nei primi otto mesi dell'anno nell'immediatezza dell'incidente, cui si debbono aggiungere i decessi avvenuti a distanza di giorni o settimane negli ospedali dopo il ricovero.

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