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Capirossi si racconta a Forlì: "Quando mi si sono aperti gli occhi e ho avuto paura"

L'ex pilota incita il forlivese, leader della MotoGP, alla presentazione del suo libro "65 - La mia vita senza paura". La famiglia, le gare più belle e i ricordi dolorosi di una carriera a tutto gas: ecco il Capirossi più vero e meno conosciuto

Che Loris Capirossi abbia appeso il casco al chiodo lo si nota in un secondo, dall’abbronzatura che suggerisce un’estate vacanziera e di relax, rispetto ai weekend afosi in sella, dentro le tute asfissianti. Eppure, colui che tuttora detiene il record di più giovane vincitore di un titolo mondiale sulla due ruote, non ha abbandonato il circuito motoristico, tutt’altro: il 44enne di Castel San Pietro, infatti, oggi ricopre il ruolo di safety advisor a bordo pista. Una sorta di consulente “sul campo” che vigila sulla sicurezza dei piloti. E proprio questo è stato uno degli argomenti principali alla presentazione del suo libro, insieme a Simone Sarasso, “65: la mia vita senza paura” (Sperling & Kupfer), avvenuta mercoledì all’America Graffiti Headquarters in presenza di tifosi, appassionati e autorità.

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La sicurezza e la paura

Cominciò tutto dopo l’incidente di Kato a Suzuka, nel 2003: furono lo stesso Capirex, un giovanissimo Valentino Rossi e Kenny Roberts Jr. a istituire la prima commissione a salvaguardia dell’incolumità dei centauri. “Oggi – rivendica con orgoglio – siamo a livelli eccezionali di sicurezza. Sono stati fatti dei passi avanti enormi per ridurre i rischi. Poi, certamente la fatalità non si può eliminare del tutto”.

Loris Capirossi a Forlì (foto di Alessandra Salieri)

Proprio quel caso maledetto che si portò via il Sic, il 23 ottobre 2011 a Sepang. “Voleva organizzare la mia festa di addio – ricorda Capirossi con gli occhi lucidi – perché sapeva che quella successiva sarebbe stata la mia ultima corsa. E invece, divenne quella più difficile”. Già, perché dopo aver visto l’amico andarsene sotto i propri occhi, le migliaia di curve, le cadute dolorose e gli incalcolabili rischi presi in oltre vent’anni di carriera, sembravano svaniti in un colpo, come a seguito di un brusco risveglio. Il Gran Premio successivo, a Valencia, Loris lo corse, non con le clavicole spezzate, come tante volte gli era capitato, ma con il cuore in frantumi. Abbandonò il fidato 65 per onorare il 58 di Simoncelli: “Fu la gara in assoluto più difficile della mia carriera. Non vedevo l’ora che finisse, mi si erano aperti gli occhi e avevo davvero paura”.

Già, proprio quella parola che ogni pilota in erba non vuole sentire pronunciare, la zavorra che, più di ogni altra, fa la differenza tra un buon risultato e la vittoria: “La paura è qualcosa con cui i piloti devono saper convivere, tenendola da parte”. Anche per questo, Capirossi non nasconde di provare grande ammirazione per Valentino: “È incredibile la voglia che continua a metterci, i ragazzini con cui si allena sono la sua forza. Può correre ancora a lungo”.

La speranza Dovizioso e gli angeli custodi

Forlì, però, non è una città qualsiasi: oggi, guarda tutti dall’alto in basso nella classifica della MotoGP, grazie al pupillo Andrea Dovizioso, inatteso leader mondiale, con la Ducati che Capirossi conosce fin troppo bene: “Dovi sta andando alla grande. Se riuscisse a portare a casa il Mondiale sarebbe una cosa bellissima, per lui e per la Ducati. Dobbiamo fare tutti il tifo perché ciò accada”.

Quel titolo che a lui, nella classe regina, è sfuggito, ma senza rimpianti, nella consapevolezza di aver avuto dei fantastici compagni di viaggio fin alla tenra età, a cominciare dal dottor Claudio Costa, che ne ha curato le fratture e dal padre Giordano, che ne ha curato l'anima. Oggi, così, la famiglia chiama a nuove responsabilità: “Non voglio che mio figlio vada in moto. In casa non ho neanche una coppa o quadro che ricordi le mie gare. Una cosa sola tengo in salotto: la Desmosedici con cui ho vinto a Barcellona nel 2003, la mia vittoria più bella”. Ma di certo, il figlio non l’avrà scambiata per un componente d’arredo.

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