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La domenica del villaggio

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A cura di Mario Russomanno

Il pensiero alto e leggero di “Spaldo”: Spallicci, il babbo della Romagna

In questo mese di Marzo ricorre il cinquantenario della scomparsa di Aldo Spallicci (1886-1973), una delle figure più influenti del novecento romagnolo

In questo mese di Marzo ricorre il cinquantenario della scomparsa di Aldo Spallicci (1886-1973), una delle figure più influenti del novecento romagnolo. Meritoriamente, amministrazioni e sodalizi lo stanno ricordando, affidandosi a studiosi di vaglia. Non serve lo faccia io in questa rubrica domenicale. Peraltro, tentare di riconnettere in un  articolo la monumentale impronta lasciata da “Spaldo” sul sentire collettivo costituirebbe impresa temeraria. Mi limito a ribadire che, insigne medico, poeta, politico di grana raffinata e inesausta passione, fondatore di riviste e associazioni, mente poliedrica e animo trasparente, Spallicci abita a pieno titolo il Pantheon degli uomini e delle donne più grandi che la nostra terra abbia ospitato. Non solo nel novecento.

Uso tale espressione, la nostra terra, non per patriottismo, ma perché della Romagna Spallicci non fu solo propugnatore (nel corso della sua esperienza parlamentare e di componente l’Assemblea Costituente della Repubblica) e profondo conoscitore (basti pensare allo studio del dialetto che accompagnò la sua produzione poetica), ma anche tenero innamorato. 

Non era, infatti, Spaldo, intellettuale chiuso in stanze asfittiche, della Romagna conosceva ogni anfratto. Per ragioni di famiglia e della professione risiedette a Forlì, Bertinoro, Cervia, Milano Marittima, Premilcuore. A contatto con un popolo variegato, in epoche nelle quali le differenze economiche e sociali erano marcate. Senza far differenze: l’umanità del medico in lui rafforzava la curiosità che lo studioso aveva per la tradizione popolare. Parimenti, Spallicci amava la Romagna e ciascuna delle sue vocazioni, da quelle culturali a quelle di intrattenimento. 

Per questo motivo ho scelto di accompagnare queste righe con una fotografia che   anni addietro mi mostrò Barbara Asioli, consigliere comunale a Bertinoro d’ispirazione repubblicana, la quale, dovere di cronaca, qualche giorno fa è stata eletta presidente dei tributaristi dell’Emilia-Romagna. La foto, conservata dal padre di Barbara, Fernando Asioli, che fu pianista della orchestra di Secondo Casadei, descrive una cerimonia avvenuta nel 1965 e consente oggi di rivolgere lo sguardo al modo di vivere della Romagna di quegli anni. Che furono, quelli della seconda metà del secolo scorso, gli anni migliori di sempre.

L’immagine, nella quale Spallicci è a sinistra (in piedi in abito grigio), ci restituisce la cerimonia di consegna a Secondo Casadei, maestro indiscusso della musica folk (a destra in piedi in abito scuro), del premio per la promozione della cultura romagnola nel mondo da parte della “Piè”, la rivista culturale che “Spaldo” aveva fondato nel 1920. Spallicci e Mauro Stanghellini (al centro in piedi) pronunciarono le motivazioni del significativo conferimento a Casadei. Tra Spallicci e Stanghellini, nella foto potete riconoscere Arte Tamburini, regina madre delle cantanti del folk romagnolo, interprete faentina che Casadei, con gesto rivoluzionario per un mondo al tempo maschilista, volle come voce solista dell’orchestra. Quella di Arte Tamburini e quella del collega Pino Flamigni furono le voci che portarono nel mondo le struggenti strofe di “Romagna mia”, che molto contribuirono alla identificazione del modello  di vita romagnolo, ammirato da turisti che decisero di affollare le nostre spiagge. 

Alle spalle di Arte Tamburini, seminascosto, c’è Fernando Asioli, che vive oggi a Forlì in buona salute. Asioli, va ricordato, avviò fortunate  imprenditoriali che positivamente incisero sul tempo libero dei romagnoli. Nel 1963 Asioli fondò, assieme al batterista Nevis Bazzocchi, anch’egli orchestrale di Casadei, il dancing “La Bussola”, a Fratta Terme, ove persone di ogni età e provenienza miscelarono destini, gusti musicali, classi sociali. Molti ricordano la figura di Ornella Vallicelli, consorte di Bazzocchi e manager di insuperato talento. Qualche anno dopo Asioli fondò anche “La Porta d’Oro”, ritrovo musicale elegante situato sulla collina che unisce Bertinoro alla frazione di Santa Maria Nuova, luogo di nascita di Spallicci. Per almeno trent’anni locali simili, diffusi tra mare pianura e collina, consentirono ai romagnoli di conoscersi e di alimentare sentimenti e passioni. E alla Romagna di crescere economicamente e di proporsi come modello di aggregazione sociale.

La iconica fotografia di cui sto dicendo è conservata in originale, assieme a moltissime altre e a una vasta documentazione, presso Casadei Sonora, a Savignano, luogo di culto della musica romagnola, che vi invito a visitare (tel. 0541 945259). In quelle stanze che trasudano ricordi suggestivi e che propongono alle nuove generazioni l’attualità del “liscio”,  Riccarda Casadei, figlia di Secondo, tramanda la memoria dell’attività artistica del padre assieme alle figlie Lisa e Letizia. Riccarda mi ha descritto l’emozione di Secondo al momento di ricevere quel riconoscimento dalla “Piè”, per di più, dalle mani di Spallicci. Lo Strauss di Sant’Angelo di Gatteo, in quel 1965, era il romagnolo più conosciuto, assieme a Ercole Baldini e a Federico Fellini, ma era cresciuto, come tanti, nel mito di di Spallicci. “Spaldo” fu infatti, per generazioni diverse, quel che nella pubblicistica francese viene tradizionalmente definito “maitre a penser”: una persona di alta autorevolezza culturale e morale, una luce nel buio cui affidarsi per decodificare presente e futuro. 

In quella fotografia, il “babbo della Romagna” (così era definito Spallicci) e il Maestro che con le sue note aveva offerto ai romagnoli un manifesto identitario, sono ritratti uno a fianco dell’altro. Una sintesi plastica tra vena intellettuale e popolare che convissero virtuosamente, contribuendo a trasformare una terra densa di conflitti e disparità, arretrata rispetto ad altre regioni italiane, in uno dei luoghi più coesi, ricchi e visitati al mondo. E’ il miracolo realizzato da un paio di generazioni di romagnoli nel novecento.

Spallicci, del resto, aveva sempre mostrato interesse e considerazione per la musica popolare. Già nel lontano 1926 le autorità fasciste avevano convogliato a Pievequinta di Forlì i migliori musicisti romagnoli per una  celebrazione del violinista Carlo Brighi, “Zaclen”, che, scomparso nel 1915, era, a ragione, considerato l’inventore, nella seconda metà dell’ottocento, della musica romagnola.  Il ricordo di Brighi, con un discorso applauditissimo, era stato affidato a Spallicci, che pur del fascismo diverrà fierissimo oppositore, pagando tale scelta con pesanti conseguenze personali.

C’era, in “Spaldo”, rara capacità di far convivere il pensiero alto, che rivolgeva ai grandi temi del vivere, con quello leggero, indirizzato alle gioie che la quotidianità può offrire ai ceti popolari.  

Ci piace pensare che menti simili a quella di Aldo Spallicci sopravvivano, a ricordarci chi siamo e a difenderci da una indiscriminata  globalizzazione.


PS. Se vi va di sapere di più sulla vicenda umana e artistica di Secondo Casadei potete ritirare gratuitamente una copia del mio libro “L’uomo che fece i romagnoli”, pubblicato nel 2021 per iniziativa del Comune di Forlì. Lo trovate presso  IAT HUB, ufficio turismo e cultura (tel 0543 712362). E’ in Piazza Saffi 8, di fronte allo scalone d’entrata del Municipio. Gli addetti sono cortesi ed in grado di illustrare luoghi e iniziative della città. Cosi, comunque, fate due passi nello splendido centro storico di Forlì. In questo periodo, inoltre, a due-tre cento metri di distanza, è aperta, presso i musei San Domenico, la meravigliosa mostra “L’arte della moda” allestita dalla Fondazione Carisp. Arrivano persone anche da molto lontano per visitarla.

Buona domenica, alla prossima. 

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