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Martedì, 30 Aprile 2024
La domenica del villaggio

La domenica del villaggio

A cura di Mario Russomanno

Storie di ordinaria femminilità: Rita Baldoni, gran signora del Liscio, e il suo cuore artificiale

Come molti italiani la ricordo sul palco, negli anni settanta, a fianco di Raoul Casadei. Era la cantante solista dell’orchestra, da “Ciao mare” in poi. In televisione, sulle copertine dei settimanali, a Sanremo, al “Disco per l’Estate”

Non ho mai incontrato di persona Rita e ho cominciato a sentirla al telefono solo da qualche mese. Eppure, nutro per lei grande stima e una gioiosa simpatia. La vita l’ha messa di fronte a montagne russe su cui molti avrebbero inciampato rovinosamente. Lei no. E’ rimasta se stessa nei momenti di grande successo e le recenti vicissitudini di salute non l’hanno prostrata, tutt’altro. Intelligenza acuta, signorilità, auto ironia e amore familiare sono le armi con cui combatte, e vincerà, la battaglia che sta affrontando.

Come molti italiani la ricordo sul palco, negli anni settanta, a fianco di Raoul Casadei. Era la cantante solista dell’orchestra, da “Ciao mare” in poi. In televisione, sulle copertine dei settimanali, a Sanremo, al “Disco per l’Estate”, etc. Alta, bella, ribattezzata dai fans “coscia lunga”, tecnicamente ineccepibile.  

Di lei m’avevano parlato persone che di cose ne sanno. Riccarda Casadei, figlia di Secondo, custode con “Casadei Sonora” della tradizione culturale del padre, conoscitrice di tutto ciò che ruota attorno al Liscio: “Rita, cantante e persona fuoriclasse”. Pina Sirgiovanni, moglie e colonna portante di Raoul Casadei, donna riflessiva e prudente nei giudizi: “Rita stava a casa nostra come in famiglia ed era artista eccellente”. Moreno Conficconi, il Biondo, per dieci anni front man dell’orchestra di Raoul Casadei, fondatore degli Extraliscio, uno che studia musica ogni giorno: “Non ho lavorato con Rita perché lei ha lasciato giovanissima, ma la ricordo interprete bravissima”.

Rita, dopo dieci anni folgoranti, con un concerto al giorno per trecentosessanta giorni all’anno, si sposò ed ebbe un bambino. Decise di lasciare la professione quando era al top della fama e dei guadagni. Da tempo affronta gravi problemi cardiologici. Lo fa con coraggio e dignità, cullata da ricordi dolci e mai lamentosi di un passato che pochissimi possono vantare. Da un paio d’anni vive prevalentemente a casa: le è stato impiantato il cosi detto cuore artificiale, supporto meccanico  ingombrante, indispensabile al regolare battito cardiaco.

Da tanto desideravo mettermi in contato con lei. Mi tratteneva il timore di disturbarla, considerata anche la sua sobria riservatezza.  La primavera scorsa ruppi gli indugi. Scrivevo il libro “I giganti del liscio”, dedicato alle figure di Carlo Brighi, Secondo Casadei e Raoul Casadei, pubblicato con il sostegno del Comune di Forlì e della Regione Emilia-Romagna; non potevo esimermi dal raccogliere la testimonianza di una protagonista degli anni in cui il Liscio faceva lievitare il Pil della Romagna, dava lavoro a migliaia di persone, attirava folle di turisti. Rita è stata, tra l’altro, l’unica artista a cantare sia per Secondo che per Raoul.  

E’ stata una piacevole e istruttiva scoperta: parlare con lei è uno spasso, oltre che un viaggio, con biglietto di prima classe, nel tempo migliore che la Romagna abbia mai attraversato. Quello in cui si guardava al futuro con ottimismo, in cui la melodia di Secondo e la musica solare di Raoul facevano da colonna sonora a transizioni sociali irripetibili.

Da allora la sento frequentemente, per questa conversazione l’ho fatto lunedì scorso. Quello della propria salute è argomento di cui Rita parla senza alcuna remora e che mi autorizza a trattare.


Rita, da dove vieni?
Mio babbo era camionista, forlivese, mia mamma casalinga di San Benedetto del Tronto. Lui morì quando avevo nove anni a seguito di un incidente stradale. Era il 1964, se ne andò sei mesi dopo l’incidente, a Modena. Guidava un auto cisterna, dopo il sinistro, svenuto, aveva ingerito la nafta fuoriuscita. Sarebbe bastata una  lavanda gastrica per salvarlo. Mio fratello aveva quindici anni,  mia  mamma rimase vedova a quaranta, esattamente come sarebbe accaduto a me.  La mia vita è densa di segni del destino.

Cosa ricordi di lui?
Cantava, suonava la fisarmonica e il violino. In ospedale a Modena mi disse: “Rita canterai, non ci sarò più ma ti vedrò da una poltrona”. Anni dopo, ogni volta che mi esibivo da un palco, che giornali e televisioni ci seguivano, me lo vedevo avanti. L’ho accontentato, ne sono orgogliosa. Anche tirando su di un piano la casa che lui aveva costruito. 

Essere orfana ti ha condizionato?
E’ stata una grande mancanza. Al funerale tutti si stringevano alla mamma, mi muovevo da sola sulla ghiaia, pochi mi consolavano. Avemmo difficoltà economiche, affittammo parte della casa alla famiglia di un capitano dell’Aeronautica. Facevo dispetti alle figlie del capitano, per ripicca. In casa si mangiava spesso latte e biscotti, latte e ciambella. Si risparmiava su tutto.

Come entrasti nell’ambiente della musica?
A dieci anni cantavo continuamente ascoltando la radio. Mia mamma mi portò a scuola di canto da Ruggero Versari, insegnante forlivese. Mi impegnai molto, anche pensando a mio babbo. Vinsi il “Pinocchietto d’oro”, e il premio di Valdazze, il villaggio del cantante. Poi, quando avevo sedici anni, il destino mi venne incontro. 

Racconta.
Come sai, in Viale Roma a Forlì c’era il bar “Romagna mia”, luogo di ritrovo dell’orchestra di Secondo e Raoul Casadei. I musicisti s’incontravano lì per partire in pullman. Il proprietario aveva detto loro che una ragazza che cantava bene abitava nei pressi. Alle tre di notte, arrivarono a casa mia Ivano Nicolucci e Ivan Novaga. Dissero a mia mamma che avevano bisogno di me per due o tre serate perché Palma Calderoni, la solista dell’orchestra, aveva qualche problema familiare. La sera successiva cantai a Sant’Angelo di Gatteo, il paese natale di Secondo. Del repertorio conoscevo solo “Romagna mia”. Qualche giorno dopo mi portarono a Torino, alla “Cetra” edizioni, a incidere un tango, “Lontan da te”, che mi avevano insegnato in pullman. Era il 21 Agosto del 1971, anniversario della morte di mio babbo. Sono rimasta in orchestra per dieci anni.


Ricordiamo che Nicolucci e Novaga erano eccellenti musicisti che in seguito guidarono orchestre proprie. Come fu l’impatto con Secondo?
Era una leggenda, “Romagna mia” costituiva il riferimento di ogni musicista. Ma era persona modesta, educatissima. Ti guardava, rideva, e tu capivi che tutto andava bene. Parlava con lo sguardo. Io sentivo la musica, mi muovevo sul palco, lui faceva un cenno d’assenso e mi tranquillizzava. Purtroppo l’ho frequentato poco, quell’autunno si ammalò. L’ultima a serata con lui la facemmo a Forlì, al Palazzetto dei Romiti: stava già male ma volle esserci. Era innamorato del mestiere. Venne a mancare poco dopo. Indimenticabile.

Cosa mi dici di Raoul?
Mi fece da padre. Era carismatico, buono, severo, rispettoso, attaccatissimo alla famiglia. Una persona eccezionale, oltre che un genio dello spettacolo. Quando Secondo morì era titubante nel prendere l’orchestra, gli piaceva il suo lavoro di maestro elementare. Tutti lavorarono per convincerlo. Diede una svolta, da “Ciao mare” in poi diventammo l’orchestra più conosciuta in Italia. Era fatto a modo suo. Vuoi un aneddoto poco conosciuto?

Certo.
Ogni tanto Raoul partiva per andare a caccia a Foggia, terra natale di Pina, sua moglie, anch’ella maestra elementare. Partiva e non voleva saper di noi, ci diceva di rispettare gli appuntamenti senza di lui. Gli orchestrali mugugnavano, presentarsi senza di lui non era la stessa cosa. Venne la giornalista di un settimanale a intervistarmi, ingenuamente descrissi quella situazione e lei fece il titolo con quella cosa lì. Venne fuori un casino.

Passasti dei guai?
Raoul e Pina mi chiamarono a casa loro, si resero conto che l’avevo fatto per ingenuità. Il giorno dopo in pullman Raoul disse che se qualcuno aveva qualcosa da dire non doveva mandare avanti una ragazzina e tutto si chiuse lì. E lui continuò ad andare caccia quando gli pareva, lo faceva per scaricarsi. Stava concentrato sul lavoro giorno e notte. Ho letto nel tuo libro che te lo ha detto Moreno Conficconi: Raoul componeva in pullman e in piena notte lavorava alle canzoni, a casa. Lo confermo.


Via per trecento sere all’anno. Com’era quella vita?
Mi piaceva, grazie a quei viaggi conosco tutti i borghi italiani. Si dormiva in pullman con le coperte, si tornava stanchi e il giorno dopo si ripartiva, c’era un bel clima tra noi, eravamo quasi una ventina di persone. Dei divertimenti dei miei coetanei non mi è mancato nulla. C’era l’adrenalina, la gente ci aspettava ovunque, applaudiva.

Soldi?
I primi tempi non ci pensavo neppure. Mi sentivo realizzata e mi bastava, cantare era quello che avevo sognato di fare. Poi un amico di Raoul, Albertini di Cervia, gli disse che era giusto fossi messa in cooperativa al pari degli orchestrali. Cominciai a guadagnare molto di più di quel che avrebbe potuto una ragazza con un lavoro “normale”.


Regalaci un aneddoto inedito.
In Romagna ci seguiva costantemente un certo Ubaldo di Ravenna. Era anziano e si era innamorato di me.  Non so come trovò il mio indirizzo di casa: si presentò con una torta e un braccialetto d’oro. Io non c’ero: la torta la mangiarono in mia assenza. Il braccialetto lo riportai di persona a Ubaldo. Ma ci fu anche chi intendeva regalarmi una moto, addirittura un appartamento. Ma io, lo dico con schiettezza, non ero il tipo.

Ti rendevi conto di costituire grande attrazione?
Ero una cantante e basta. E poi c’era lo spirito di squadra, la goliardia tra noi dell’orchestra. Tutto era un rito collettivo: il fatto che fossi l’unica donna, non brutta, era pacifico. Sui miei ammiratori si scherzava assieme. Del resto il segreto del nostro successo stava anche nel fatto che ci divertivamo, il pubblico lo percepiva. In pullman era un continuo fiorir di barzellette, aneddoti, battute. I “comici” erano Renzo Vallicelli, il Rosso, Raoul, e suo cognato Giorgione. Ci facevano ridere fino alle lacrime.

Il mondo dello spettacolo  pullula dii donne belle che dicono che la bellezza non conta, che da ragazze si sentivano bruttine, etc. Cosa ne pensi?
Sono balle. La bellezza conta. Certo, se non sai cantare se ne accorgono tutti mentre in altri ambiti dello spettacolo il fisico può bastare. Ma se sei bella parti avvantaggiata comunque. Poi, naturalmente, serve simpatia, spontaneità.

Proposte indecenti ne hai avute?
A decine. Vuoi qualche aneddoto?

Non guasterebbe.
Un importantissimo manager musicale, il più potente in Italia, mi chiede di recarmi a Milano per una proposta professionale, mi indica un albergo di gran lusso. Mi consiglio con Raoul che mi dice: “vai e ascolta, ma rimani nella hall, non salire in camera”. Vado: il manager mi propone una carriera da solista e mi assicura il suo appoggio. Poi mi propone di andare in camera.

Cosa facesti?
Chiamai un taxi e me ne andai. Anche perché non avrei mai lasciato l’orchestra: ero una ragazza, l’orchestra era il mio mondo, la mia famiglia. Vuoi un altro ricordo divertente?

Magari.
Siamo a Zurigo per un ciclo di spettacoli. Un manager tedesco mi insegna a cantare “Ciao mare” nella sua lingua. Una notte, in albergo, in camera arriva un cameriere con due bottiglie di champagne e un biglietto del manager che mi chiede se può venire a bere nella mia camera. Io chiamo  i ragazzi dell’orchestra. Vengono tutti, beviamo e ridiamo. Mi raccomando di non dire nulla al tedesco, di non prenderlo in giro. Ma la mattina dopo a colazione Renzo il Rosso, il solito mattacchione, si rivolge al tedesco dicendo: “Grazie, lo champagne era buonissimo!”.

Come te la cavasti con “Ciao mare” in tedesco?
Ho ritrovato recentemente un filmato in cui, in un castello nei pressi di Milano, la canto in tedesco. La gente applaudiva. Forse non capivano quel che dicevo, del resto anch’io non lo capivo tanto.

Tuo marito?
Sapeva come funziona il mondo dello spettacolo, era tranquillo. L’avevo conosciuto il 2 Novenbre del 1976, l’unico giorno dell’anno in cui non eravamo in giro con l’orchestra. Pensa come gira il destino!

Racconta.
Avevo finalmente un po' di soldi, decisi di ampliare di un piano la casa che mio babbo aveva fatto. Detti appuntamento per quel giorno a un giovane geometra forlivese, Marcello Greggi, per incaricarlo dei lavori. C’innamorammo, è stato l’uomo della mia vita. Purtroppo è venuto a mancare ben ventotto anni fa, lasciando un vuoto in me e nei nostri due figli. La mia vita è stata un continuo saliscendi.

La tua voce per gli addetti ai lavori è una specie di leggenda; è più dono o mestiere?
E un dono che devi avere dalla nascita. Poi devi studiare. Oggi cantano più o meno tutti, grazie alle   tecnologie. Una volta no, cantavi con la tua voce e basta. Le corde vocali vanno allenate costantemente e chi come me cantava tutte le sere dell’anno, per ore, era favorito. Oggi non potrei più cantare cosi, indipendentemente dall’età e dalle mie condizioni.

A me pare che tu abbia una gran voce…
Non sei del mestiere. Posso parlare, potrei leggere un testo ad alta voce in pubblico in modo efficace ma non cantare a livelli adeguati.

Abbandonasti a ventisei anni una vita entusiasmante e remunerativa. Pentita?
Assolutamente no. Scrissi una lettera a Raoul per spiegare la mia decisione, una lettera che è stata riproposta qualche anno fa nella trasmissione di Barbara D’Urso a Canale 5. Non avrei mai assunto   una dada per crescere mio figlio. Mi dissi: “se Dio me l’ha mandato, penserà ad aiutarmi. Non posso tornare alle sei di mattina, e svegliarmi all’una e ripartire lasciando il bambino a casa”. Di quei giorni una sola cosa mi dispiacque…

Racconta, se vuoi.
Volevo prendermi il tempo per informare prima a Raoul e poi agli altri che ero incinta e che avrei lasciato. Invece, un pomeriggio in trasferta vedemmo le giostre e con alcuni colleghi salimmo sul calcio in culo. Uno mi disse di stare attenta, nelle mie condizioni era pericoloso. Avevano saputo, non so come e da chi. Ma poi parlai con Raoul, lui capì, come sempre. E mi disse che se avessi voluto, il mio posto ci sarebbe sempre stato. 

La cantante che prese il tuo posto è Luana Babini. Rita, quando si è manifestato il tuo problema al cuore
Nel 2010, il giorno del matrimonio di mia figlia Manuela. Fino a quel momento avevo vissuto senza incontrare un medico. Mi sto preparando per cantare durante la festa, ma rimango improvvisamente senza voce e faccio fatica a respirare. Non do molto peso alla cosa. Ma, qualche tempo dopo, una sera mi trovo alla pizzeria “Canario” di Forlì con delle amiche; mi sento male, mi accompagnano a casa, Manuela e Matteo, i miei figli, mi soccorrono. Mi viene diagnosticata una cardiomiopatia dilatativa e un infarto in atto. Trascorro molti giorni in ospedale, ma poi miglioro. I medici mi danno il consiglio di vivere serenamente, come si fa con tutti i malati di cuore.

Eri tranquilla?
Si. Tanto che di lì a poco, dopo molti anni, decido di tornare un po' a cantare, per divertimento e anche per distrarmi. Torno anche a lezione di canto, per non fare figuracce. Accompagno talvolta Pasquale Venditto nelle sue serate, gratuitamente, due tre volte la settimana. Mi diverto e mi rilasso.

Venditto è gran musicista forlivese, per molti anni componente la band di Ivan Graziani. Trovo su you tube una esibizione di Rita in una di quelle serate con Pasquale,  lei canta magistralmente “Tutt’al più”, di Patty Pravo.  E poi, Rita, cosa successe?
Tre anni fa ho avuto un altro scompenso, poi altri ancora in successione e voglio ringraziare per la sua professionalità la meravigliosa dottoressa forlivese Elisa Gardini, le sono riconoscente. Il cuore non funzionava più. Per spiegarti, un cuore normale ha frequenza sessanta, il mio quattordici. Sapevo che non mi rimaneva tanto tempo da vivere, attendevo lo scompenso finale. Non chiesi  quanto mi rimaneva. Lo chiese mia nuora, apprensiva e affezionata. Il medico rispose  che al massimo si poteva trattare di due anni.

Hai scelto la tua strada o ti sei affidata?
Mi operarono a Torino, ma non si risolse il problema. Allora, da Forlì mi mandano a Bologna al centro trapianti, unica soluzione  possibile era impiantare il cuore artificiale.

L’ipotesi di un trapianto di cuore?
Quasi impossibile trovare un cuore adatto alla mie età. Inoltre, ci sarebbero molte probabilità di rigetto. Sapevo che la soluzione del cuore artificiale sarebbe stata una sorta di calvario, l’ho accettata perché era l’unica possibilità. E’ un intervento invasivo e complesso. Prima si trascorre un anno di esami perché tutti gli altri organi vitali devono essere a posto. Il 21 ottobre 2022 mi è stato impiantato questo strumento meccanico. Ricordo il dolore, la morfina, i sogni, la terapia intensiva.  Sono l’unica donna in Emilia-Romagna e una delle pochissime in Italia con un cuore artificiale.

Adesso?
Posso muovermi poco, continuo a fare esami invasivi. Continuano le sincopi, interruzioni della coscienza. O questo o morire. A volte penso che avrei preferito andarmene. Oltretutto rappresento un impegno costante per mio figlio, che vive qui. Lui non vuole sentire queste parole, ma io lo penso.

E’ inutile dirti che pensi scemenze?
No, hai ragione, in casa me lo ripetono. Vivere è bello, così un po' meno, ma occorre vivere. Comunque, non farò altri interventi, Adesso mi sto impegnando per cambiare casa. Vorrei una soluzione più adatta a me  e vorrei  restituire libertà a mio figlio e alla sua compagna, che mi sono sempre tanto vicini. Mia figlia si è dovuta trasferire lontano per lavoro.

Siamo tutti con te, mi sposto su un argomento leggero. Tutti dicono di ricordare le tue gambe. Sensazione?
Erano belle, saper che le si ricordano mi da allegria. Ricevevo centinaia di lettere, ancor oggi c’è chi mi scrive. Tra gli argomenti, le mie gambe ricorrono. Ma sotto la minigonna indossavo sempre la pudica mutanda a pantaloncino della stessa stoffa del vestito, la confezionavo io. Gli abiti di allora li ho ancora tutti, li facevo io. Le gonne erano corte ma il decoro era salvo.


Ogni volta ti chiedo di cantarmi al telefono un pezzo di “Ciao mare” e mi accontenti. Ti rompo?
No, mi diverte molto. Potrei cantare qualche altra canzone di Raoul, ne abbiamo portate in giro parecchie diventate celebri. Tanto non sei del mestiere, non ti accorgi che non ho più la voce di un tempo.

Rita ride, ha imparato fin da ragazza a governare popolarità e asperità. Con il pensiero torno a quel che mi disse Riccarda Casadei: “Rita Baldoni? Una fuoriclasse”. Saluto  Rita e, anche a nome dei lettori,  le mando un abbraccio.

Buona domenica, alla prossima.

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